Per secoli la finanza è stata al servizio dell’economia. Nel tempo si è andata evolvendo, ha generato nuovi strumenti e ha esteso le aree di intervento. Fino al 1990 gli strumenti finanziari erano pari a un decimo dell’economia reale. Nel 1999 si assiste al sorpasso, cioè in quell’anno vengono creati un totale di strumenti finanziari superiore alla ricchezza prodotta in tutto il mondo. La corsa non si arresta e nel 2011 gli strumenti finanziari superano di 11 volte l’intero Pil mondiale.



La finanza da strumento è diventata un fine ed è in grado di assoggettare l’economia, la politica e la vita di miliardi di persone. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: concentrazioni di potere incredibili, crescenti instabilità dei mercati, difficoltà a sviluppare l’economia attraverso il lavoro e l’utilizzo delle risorse disponibili. Anche le risorse “naturali” quali acqua, miniere, prodotti agricoli sono sempre più oggetto di speculazione. Il potere si sposta da chi produce a chi acquista il diritto di comperare e/o vendere quei beni a condizioni sempre più sofisticate.



Occorre fare qualcosa per frenare la speculazione e arginare la rabbia di chi vede aumentare il divario tra i tanti sempre più poveri e i pochi sempre più ricchi. Invertire questa tendenza significa toccare interessi colossali e le resistenze che si incontrano sono fortissime. Ecco allora spuntare il palliativo: la Tobin Tax. Si dà un contentino a chi protesta, a quanti desiderano colpire i ricchi e poi si possono spendere fiumi di parole per occultare i veri problemi. Nel seguito vedremo perché la Tobin Tax non funzionerà e cosa invece sarebbe necessario fare per intervenire efficacemente nel settore finanziario.



Perché la Tobin Tax non funzionerà

1 – L’Italia ha troppe tasse. Ha bisogno di ridurre le spese, la burocrazia, la complessità, i tempi di risposta, di aumentare la produttività. La Tobin Tax è un aggravio che oltre a pesare sull’economia induce a pensare che si possa continuare a finanziare la spesa pubblica introducendo nuove tasse.

2 – In teoria dovrebbe gravare sui ricchi, su coloro che muovono grandi patrimoni o che si lanciano in speculazioni. Di fatto finirà per colpire i piccoli operatori che non possono ricorrere a soluzioni sofisticate, gli esportatori che devono tutelarsi dai rischi di cambio. I grandi patrimoni potranno facilmente collocarsi nei numerosi paesi che non applicano questa tassa, al momento adottata solo in 11 paesi europei, mentre restano esclusi Usa, Asia, Inghilterra per non parlare dei vari paradisi fiscali. In Italia, oltre a un aggravio di costi, potremmo assistere a una significativa riduzione delle attività finanziarie e la perdita di molti posti di lavoro nel settore degli investimenti.

3 – Alcuni esempi dovrebbero far riflettere. Tassare i ricchi è sempre difficile. La tassa sui natanti ha fatto diminuire le entrate perché ha svuotato i porti italiani, spingendo molti proprietari di imbarcazioni a trasferirsi. Nel 1984 la Svezia deliberò una Tobin Tax che introduceva un prelievo dello 0,5% su ogni acquisto di titoli azionari e sulle stock option. Nel 1986 la tassa fu innalzata all’1% assoggettando anche le obbligazioni. Le transazioni crollarono bruscamente e il mercato finanziario svedese migrò sulla piazza londinese. Il gettito fiscale fu solo un quarto di quello ipotizzato. Nel 1992 la Svezia fu costretta a cancellare la tassa, ma il danno era ormai compiuto e sono stati necessari ben 15 anni per tornare agli stessi volumi del 1984.

4 – Si tratta di una legge complessa e molto dipenderà da come verrà attuata.
Occorre decidere l’aliquota. Attualmente si ipotizza lo 0,1% sugli scambi di titoli (esclusi quelli di Stato) e lo 0,01% sui derivati. Si tratta di transazioni molto diverse sia per la natura, che per i volumi e per le finalità. Anche se l’aliquota più bassa sembrerebbe favorire i derivati, considerato che il valor medio è pari a 100.000 euro con un costo medio di 3 euro, con la Tobin Tax aumenterebbe di 25 euro e quindi avrebbe un costo totale di 28 euro con un aumento del 930% sul costo della transazione. Altro aspetto importante è che verrebbe applicata solo ai saldi di fine giornata escludendo tutte le posizioni chiuse. Questo vorrebbe dire escludere tutte quelle transazioni ad altissima frequenza generate dai modelli matematici che sono ormai quelle prevalenti tra i grandi investitori e quelle che più destabilizzano i mercati. La Tobin Tax esclude proprio la fascia a più alta criticità. Infine, pur essendo introdotta in ogni singolo Paese, dovrà essere coordinata a livello europeo, cosa ovvia a livello teorico ma non di facilissima attuazione pratica.

5 – Chi desidera colpire i patrimoni dovrebbe considerare che l’Imu rappresenta già una patrimoniale, che la tassazione sui redditi di capitale è passata dal 12,5% al 20%, che l’imposta di bollo che nel 2012 era pari allo 0,1% sarà portata nel 2013 allo 0,15%. Il risparmio italiano, già indebolito da molteplici fattori, rischia di indebolirsi ulteriormente e rendere più problematica la ripresa.

6 – L’ammontare ipotizzato dal Governo per la Tobin Tax è leggermente superiore al miliardo di euro. Stime più conservative parlano di 175 milioni per i titoli e di 50 milioni per i derivati per un totale complessivo pari a 225 milioni. Se queste sono le cifre, la Tobin Tax non inciderà sul bilancio dello Stato, ma avrà creato una serie di costi aggiuntivi e un freno all’economia. Sarà un tributo pagato all’ideologia statalista e interventista.

 

Cosa occorrerebbe

La vera ingiustizia è consentire ad alcuni investitori di operare trattenendo i profitti e scaricando i rischi sulla collettività. Questo avviene consentendo alle banche di raccogliere il risparmio (che deve essere tutelato e protetto) e di investirlo non per finanziare l’economia ma per speculare. In questo modo le banche arrivano a investire fino a 30 volte il capitale di cui dispongono, assumendo quindi grandi rischi e ottenendo, fin che va bene, grandi profitti. I dirigenti ottengono premi stratosferici come quota dei profitti generati. Non è la loro abilità ad aver generato questi profitti, ma il trasferimento di rischi a carico di ignari risparmiatori.

Quando si opera con leve molto elevate è facile ottenere grandi profitti, ma anche grandi perdite. Chi investe 25 volte il proprio capitale di fronte a una oscillazione negativa del 4% vede azzerato il proprio capitale. Il guaio è che quando queste perdite si verificano occorre correre a salvare le banche che vengono salvate con i soldi del contribuente. La scelta è imposta dal fatto che, se falliscono le banche, tutta l’economia implode. Ecco come le perdite sono scaricate sulla collettività mentre i profitti vengono conservati dagli speculatori.

Occorrerebbe far sì che chi vuole speculare la faccia con i propri soldi senza scaricare i rischi sulla collettività. Questo significa separare l’economia produttiva dall’economia speculativa creando una netta separazione tra banche ordinarie e banche di investimento. Le prime non possono più prestare i soldi dei correntisti alle banche di investimento o comperarne i prodotti strutturati. I soldi dei correntisti ordinari non devono essere oggetto di speculazione e devono essere protetti dal sistema mentre le banche di investimento, in caso di difficoltà, devono essere avviate verso un’ordinata procedura fallimentare, lasciando agli speculatori i rischi connessi ai loro investimenti.

Questo vorrebbe dire impedire agli speculatori di trasferire i loro rischi sulla collettività e quindi impedire loro di trarre enormi profitti (fin che tutto va bene). A questi profitti sono legate le gratifiche e tutti gli altri premi che hanno portato a compensi pazzeschi dei manager finanziari.

La possibilità che questo avvenga è pari alla possibilità che i politici si mettano a stecchetto e rinuncino a vivere a spese del contribuente. Quando si trovano forme facili per scaricare i costi sulla collettività ci si abitua a tenori di vita, a riconoscimenti sociali a cui risulta difficilissimo rinunciare. Le caste si difendono e quando si toccano i loro veri interessi dimostrano una insuperabile capacità di resistenza.

 

Conclusione

Non si può fare nulla? Bisogna capire la realtà, gli interessi in gioco, comprendere perché la Tobin Tax è un palliativo che l’attuale governo ha dovuto concedere per non perdere l’aggancio con alcuni paesi europei, Germania e Francia in particolare, e per coprirsi a sinistra e accondiscendere alle ideologie stataliste molto diffuse.

Monti ha sempre ribadito che la Tobin Tax doveva essere adottata almeno a livello europeo e ha cercato di chiarire i limiti connessi a questa soluzione. Poteva il Governo fare di più e meglio? Con questa maggioranza credo di no. Con un mandato parlamentare più vasto e diretto forse sì. Ormai siamo in campagna elettorale e il Governo sarà sempre più condizionato dalle esigenze propagandistiche delle forze che lo sostengono. Molte leggi verranno bloccate, alcune anche dopo la loro approvazione da qualche ente, espressione delle tante corporazioni che difendono i loro interessi.

La Tobin Tax passerà perché vi sono forze che ne fanno una bandiera mentre non tocca interessi così forti da scatenare vere reazioni: un vero palliativo che comunque graverà sugli esportatori e sui piccoli risparmiatori.

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