Che la Spagna chieda gli aiuti nel weekend oppure no, come Rajoy si ostina a proclamare (non dimentichiamo, però, che negò pure ostinatamente per settimane di averne bisogno), è ormai una piccola formalità. Ciò che conta è che li chiederà. A novembre, pare. Quaranta o cinquanta miliardi cash per salvare il Paese dal tracollo. A circa 59 miliardi, infatti, ammonterebbe il buco delle banche nazionalizzate, prodotto da crediti divenuti inesigibili. Comunque vada, gli occhi degli osservatori internazionali sono puntati sulla Spagna. La tensione è alta soprattutto in Italia. Si teme che, dopo che la Spagna avrà ottenuto l’accesso ai fondi, saremo i prossimi. Ma anche no. Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, ci spiega perché, per meriti altrui, potremo stare tranquilli ancora per un bel po’.  



Cosa accadrà, concretamente, quando la Spagna chiederà gli aiuti?

Anzitutto, il nuovo meccanismo, che entrerebbe in funzione per la prima volta, dovrebbe comportare, inizialmente, una richiesta al Fondo salva-stati e, in seguito, eventualmente, l’intervento della Bce, contestualmente all’imposizione di una serie di condizioni. Par di capire che, nel caso specifico, non ci sarebbe una richiesta di modifiche alle politiche di bilancio spagnole, stabilite in sede europea attraverso un lavoro interlocutorio e negoziale con la Commissione, ma, con ogni probabilità, di riforme strutturali. E, in particolare, di provvedimenti in ordine al mercato del lavoro, ad alcune liberalizzazioni e al sistema bancario.



A quel punto, la Spagna sarà salva?

Se gli interventi dell’Esm e quello della Bce fossero realamente significativi, la situazione potrebbe volgere al meglio; tuttavia, in che misura la Germania lo consentirà? E, laddove si presentasse la necessità di acquistare non solo titoli di stato a breve termine sul mercato secondario, ma anche di medio-lungo termine, e all’emissione, la Germania si metterebbe di traverso o no? La questione fondamentale, quindi, risiede nella volontà o meno dei tedeschi di consentire che la Bce utilizzi tutti i mezzi a disposizione per salvare il Paese. Si frappone, inoltre, al salvataggio un ulteriore elemento, connaturato alla stessa struttura delle istituzioni spagnole.



Quale?

La Spagna ha enormi problemi di squilibri di bilancio derivanti dalla forza delle sue autonomie regionali e dall’impossibilità per il governo centrale di controllarne i bilanci. Un problema che coincide con il mancato controllo delle banche territoriali, le stesse da cui si è originata l’attuale situazione. Si capiscono le dimensioni della questione se si tiene conto del fortissimo regionalismo del Paese, costituito, in certi casi, da lingue ed etnie differenti.

 

Detto questo, crede che una volta ottenenti gli aiuti, gli occhi dei mercati internazionali si sposteranno sull’Italia?

 

Non credo proprio. Lo scenario avrebbe luogo se la situazione spagnola passasse in secondo piano. Ma non sarà così. D’altro canto, i trader internazionali speculano sull’euro per guadagnare dei differenziali; operando sulle vendite al ribasso (o, in certi casi, al rialzo) dei titoli di Stato o sui cambi di valuta; non potendo più guadagnare dalla Grecia, sono passati a Portogallo e Spagna; quando anche questi paesi saranno prosciugati, passeranno all’Italia. Ma, finché nella Penisola iberica non ci sarà alcuna svolta significativa – e con gli interventi che si prospettano, non ci sarà -, e finché la Spagna non avrà fatto la fine della Grecia, non vedo perché dovrebbero cambiare obiettivo.

 

In ogni caso,  l’Italia potrebbe, come ha suggerito Squinzi, chiedere gli aiuti prima ancora di averne effettivamente bisogno, firmando condizioni scritte dallo stesso governo italiano?

 

Se l’Italia chiedesse gli aiuti finirebbe immediatamente nell’occhio della speculazione. Sui mercati internazionali, infatti, vige la preoccupazione che i bilanci italiani non si consolidino. Impressione che si rafforzerebbe nell’ipotesi avanzata da Squinzi. Oltretutto, per Monti, si tratterebbe di un suicidio. Chiedere gli aiuti alla fine del suo mandato, significherebbe ammettere il suo totale fallimento.  

 

(Paolo Nessi)

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