L’Eba, l’autorità bancaria europea, ha appena messo le principali banche europee sotto la lente di ingrandimento per verificarne la solidità patrimoniale. Ma i compiti per gli istituti di credito non sembrano essere finiti. Il gruppo di lavoro di undici tecnici presieduto dal governatore della banca centrale finlandese, Erkki Liikanen, ha infatti pubblicato un rapporto atteso da tempo. Nelle 130 pagine che lo compongono, il dossier fortemente voluto dal Commissario al mercato unico, Michel Barnier, suggerisce una separazione tra attività rischiose e attività di deposito nei singoli gruppi bancari. Come ha spiegato lo stesso Liikanen, questa divisione renderebbe più solide le banche, limitando “il rischio implicito o esplicito dei contribuenti nelle contrattazioni dei gruppi bancari”. Per commentare questo progetto di riforma ilsussidiario.net ha interpellato Giulio Sapelli, professore ordinario di Storia economica all’Università degli Studi di Milano.
Professore, come giudica gli obiettivi del progetto bancario?
Quanto si sta cercando di attuare rappresenta senza dubbio un passo avanti nella direzione giusta. La proposta di separare le attività di banca commerciale da quella di banca d’affari è stata invocata già da molto tempo da Paul Volcker e successivamente ripresa dal governatore della banca d’Inghilterra, Mervyn King. Si tratta di un passaggio fondamentale a cui bisognava pensare già da molto tempo, perché proprio l’attività di rischio da parte dell’oligopolio finanziario mondiale è stata la causa del perseverare della crisi.
Quali sono i principali vantaggi di questa operazione?
Senza dubbio si abbasserebbe quella quota di patrimonio di cui dispone una banca universale e con cui di fatto mette a rischio i depositanti stessi. Questa riforma farebbe dunque sì che si non si usi più la liquidità che offerta dalla massa dei depositanti, ma soltanto dalla ben più piccola schiera degli investitori, cioè coloro che sanno perfettamente quali rischi si stanno assumendo. Questo è però solamente il primo passo.
Quale invece quello successivo?
Quello di impedire gli eccessi di rischio, ma soprattutto eliminare quelle che io chiamo “dark pools”, le “piscine oscure” in cui si vendono strumenti, presentati come assicurativi sulla mancata soddisfazione del debito, che successivamente danno invece altri profitti alle banche e rovinano invece gli indebitati. Questi prodotti vengono venduti senza alcun controllo da parte della Federal Reserve o della Sec negli Stati Uniti, ma anche nelle principali banche europee. Questa riforma può essere dunque davvero importante, ma solo se accompagnata da un controllo sugli strumenti finanziari. Non sono dell’idea che sia opportuno abolire i derivati che, se ben usati, possono invece essere utili, ma è quanto mai necessario che siano regolamentati. C’è poi un ulteriore aspetto da considerare.
Quale?
E’ necessario non commettere lo stesso errore che hanno fatto gli americani con il Dodd-Frank Act, che doveva regolare l’eccesso di rischio da parte delle banche. Faccio un esempio: se andiamo a vedere il Glass-Steagall Act del 1936, che inaugurò la divisione tra banca d’affari e banche di credito commerciale dopo la grande crisi del ’29, notiamo che è composto da 27 pagine. Il Dodd-Frank Act, cioè la proposta di regulation avanzata dai due senatori, uno repubblicano e l’altro democratico, è invece di 6.800 pagine. Inoltre, se dovessero essere proceduralizzate tutte le misure di regolazione, arriveremmo ad alcune centinaia di migliaia di pagine. Mi auguro quindi che questa attuale commissione capisca che devono esserci delle regole semplici, chiare, leggibili non solo da tecnici finanziari, ma almeno anche da cittadini mediamente colti in affari finanziari.
Come mai questa riforma arriva solo a quattro anni dallo scoppio della crisi finanziaria?
Semplicemente perché vi è una formidabile lobby di top manager (quelli che hanno fatto miliardi grazie alla non divisione tra banche commerciali e banche d’affari) che di fatto ha impedito finora tale operazione. Non è un caso che questa riforma passi proprio adesso che i paesi scandinavi hanno deciso di muoversi.
In che senso?
Questi paesi non sono dotati della cultura europea della “bad governance”, ma sono fondamentalmente anglosassoni. Perciò, nonostante i diversi errori commessi per avidità, c’è ancora una parte di loro che capisce che deve esserci un rapporto tra etica e affari. Non mi stupisce, quindi, che vi sia il governo finlandese a capo di questo progetto.
Cosa pensa invece dell’operazione dell’Amministrazione Obama contro Bear Stearns, la controllata di JP Morgan (acquistata nel marzo 2008), accusata di aver frodato i propri clienti causando loro perdite per 22,5 miliardi di dollari?
Credo che sia semplicemente un’operazione elettorale. Chi conosce la storia finanziaria sa bene che JP Morgan fu costretta da Bush Jr. e da Paulson a comprare nel corso di una sola notte la Bear Stearns. JP Morgan è una delle società più capitalizzate del mondo quindi, se devo dire la mia, credo si tratti semplicemente di una bufala elettorale, un modo che ha Obama per far vedere che è in grado di attaccare Wall Street. Eppure è un’azione che non possiede alcun fondamento.
(Claudio Perlini)