È ormai sufficientemente noto quale sia il piano di sostegno al debito sovrano cui parteciperanno Bce, Esm (ad interim, Efsf), e a fini di controllo il Fmi. In altra sede (“Dal Mario Anti-Spread al Mario-Bis?”) ho riassunto i passaggi dell’intervento – non è necessario ripetere il tutto appesantendo la presente esposizione. Basti ricordare che la Bce farà la sua parte con l’acquisto illimitato di titoli di Stato, e che tali acquisti verranno prontamente “sterilizzati” in modo da rendere l’intervento “monetariamente neutrale”.
Sorvolo sull’opportunità o meno di questo meccanismo di soccorso al debito sovrano. La riflessione che voglio suscitare riguarda invece i rischi di “non neutralità” insiti nella sterilizzazione degli interventi. In termini molto immediati dobbiamo infatti pensare a un mercato finanziario che mette a disposizione in un certo momento un ammontare determinato di risorse, e che pertanto se l’autorità monetaria si curerà di fornire liquidità al segmento “debito sovrano” sterilizzando l’intervento, questo significherà in realtà “dirottare” risorse da una parte del mercato verso il segmento da proteggere, lasciando così qualche altro segmento sostanzialmente scoperto; non ci vuol molta fantasia per intuire che se il mercato dovrà lasciar scoperto un segmento, i flussi si assesteranno in modo da marginalizzare quello più rischioso e cioè, probabilmente, il credito al dettaglio, soprattutto nelle aree europee più stressate dalla crisi economica… tra cui certamente le aree spagnola e italiana. L’intervento non è, quindi, esattamente “neutrale”.
Per addentrarci nella questione dobbiamo articolare un esempio. Consideriamo che si abbiano tensioni sui Btp, e che i diretti destinatari degli interventi della Bce siano le banche in quanto principali detentrici di questi titoli. In un primo momento la Bce presenterebbe una certa domanda di Btp a un prezzo coerente con un tasso di interesse sufficientemente basso – pertanto un prezzo superiore al valore corrente dei titoli – e le banche accetterebbero tale offerta; le banche sostituirebbero così nel loro portafogli euro per titoli.
Immediatamente dopo la Bce metterebbe all’asta depositi remunerati (chiamiamoli Depo) per importo pari ai precedenti acquisti di Btp, e le banche se li aggiudicherebbero. In un funzionamento lineare di questo meccanismo ora si avrebbe la sostituzione nei bilanci delle banche di depositi per euro. Partendo da bilanci bancari composti di Btp e Crediti si dovrebbe quindi arrivare a bilanci composti da Depo e Crediti nelle stesse proporzioni precedenti; in pratica la Bce avrebbe acquistato per sé i Btp dietro emissione di certificati – di nuova emissione – rappresentativi di fondi disponibili a breve termine (il che implica in realtà una sterilizzazione solo pro tempore).
L’essenza del problema è che il mondo non funzionerà mai così linearmente. Il processo d’asta per l’aggiudicazione dei Depo dovrà partire necessariamente dall’offerta di un rendimento appetibile, e nelle condizioni di mercato in cui si svolgerà questo meccanismo l’appetibilità dei Depo dipenderà dalla profondità delle tensioni sul debito italiano (quindi quanto a sconto verrà quotato il Btp), dal rendimento target di intervento della Bce (quindi dalla plusvalenza ottenibile cedendo i Btp alla Banca Centrale), dalle caratteristiche di rendimento e rischio di impieghi alternativi tra cui il comune credito, dalle politiche di sottoscrizione del debito pubblico (su cui agisce una moral suasion di natura politica), e dalla stringenza dei vincoli di capitalizzazione sulle banche.
Le banche avranno infatti di fronte le seguenti alternative: tenere liquidi gli euro ottenuti dalla vendita dei Btp; offrire maggior credito; acquistare altri Btp; acquistare altri asset; aggiudicarsi i Depo. Tutte queste soluzioni, tranne l’ultima, implicano il fallimento della sterilizzazione, benché l’ulteriore acquisto di Btp – solo se all’emissione, però – vada nella direzione del contenimento dei relativi rendimenti. La combinazione di rendimento e (bassa) rischiosità dei Depo dovrà pertanto esser tale da spiazzare l’acquisto di Bund, asset più speculativi, e pure – soprattutto – il credito ai privati. Su questo si innesterebbe il problema dell’appetibilità di una strategia di acquisto continuo di titoli di Stato “sotto stress” e loro rivendita a prezzo target della Bce (una sorta di trading – o speculazione – a “guadagno garantito”), che sarebbe impedita solo da Depo dal rendimento sufficientemente alto, che a sua volta verosimilmente spiazzerebbe gli impieghi bancari classici.
Rilevanti sarebbero poi le “spinte” variamente politiche che sempre chiamano le banche a detenere un certo ammontare di titoli di Stato: se il bilancio si trova a essere formato da Depo e Crediti, e si chiede comunque la sottoscrizione di nuovo debito pubblico, l’unica grandezza comprimibile sotto i vincoli di politica monetaria saranno almeno tendenzialmente i Crediti. Sinceramente non vedo realistico che si accetti una “sotto-partecipazione” al debito pubblico da parte delle banche anche dopo un qualsiasi intervento calmieratore della Bce.
Essenziale è infine la normativa sul capitale di vigilanza delle banche. In effetti, sia Depo che Btp godranno – a norma di legge – di un basso indice di rischiosità, da cui la necessità di “poco” capitale a loro copertura (questo vale sia per il rischio patrimoniale che per il rischio di liquidità, anche guardando all’entrante normativa Basilea 3), elementi di deciso favore rispetto ai comuni Crediti specialmente in un momento – come l’attuale – in cui le richieste di ricapitalizzazione si fanno sempre più pressanti e gli azionisti sempre più restii; anche questo rappresenta un incentivo alla sostituzione in bilancio di Depo per Crediti.
Dobbiamo infine considerare che non tutti i mercati, sia di titoli di Stato che di comune credito, sono uguali: verosimilmente le stesse aree in cui il debito pubblico sarà (ed è già) sotto pressione sono anche aree dai fondamentali economici per lo meno preoccupanti, e quindi aree in cui il credito privato presenta già maggior rischiosità senza poterne pretendere una redditività particolarmente alta (il pericolo di selezione avversa è sempre in agguato). I fattori di concorrenzialità – o spiazzamento – dei Depo, che si aggiungono al favore regolamentare e “politico” al debito sovrano, risulteranno quindi più forti proprio rispetto ai Crediti delle banche operanti nei Paesi “sotto attacco” o comunque stressati sul loro debito.
Nell’esempio sopra, quindi, un mercato bancario già appesantito dalle emissioni di debito pubblico in cui si emettono ulteriori asset competitivi (i Depo) andrà o sarà variamente forzato a riallocare risorse a favore del debito pubblico (sia sottoscrivendolo che parcheggiandone il relativo valore nei Depo), togliendole ai segmenti più marginali del credito, cioè contraendo il credito in aree come quella italiana e spagnola.
Per evitare questo spiazzamento si dovrebbe ammettere una creazione netta di moneta, cioè non dar luogo alla sterilizzazione (punto di grave scontro politico e comunque manovra foriera di ben altri problemi – in ogni caso gli abbassamenti dei requisiti di garanzia per l’accesso alle normali aste di rifinanziamento bancario, già di importo illimitato, possono far pensare a ingressi a latere di significativa maggior liquidità), o procedere a importanti riduzioni nette dei debiti pubblici liberando risorse per altri impieghi altrimenti spiazzati, oppure vietare alle banche il rimpiazzo nei loro bilanci dei titoli di Stato ceduti alla Bce cessando quindi il tradizionale supporto bancario al debito pubblico.
Di queste soluzioni, solo la seconda è eziologicamente corretta nonché rispettosa dei principi di mercato a tutt’oggi ampiamente violati. Lo spiazzamento del credito privato, comunque, è una concreta possibilità.