Sta arrivando la Tobin Tax? Parrebbe di sì, e pure appoggiata da un significativo numero di paesi: unico punto in grado di unificare le posizioni di Italia, Francia e Germania. In realtà, dopo anni di discussioni è ancora da vedere la forma precisa di tale tassazione, il che è importante anche per definire “se” questa sarà una Tobin Tax o cos’altro. L’obiettivo sembra essere “introdurre una imposta che freni la speculazione, liberi i prezzi di Borsa dal bieco gioco al ribasso dei grandi fondi, e quindi protegga il risparmio, nonché i titoli di Stato”; tassare le operazioni finanziarie in quanto tali sembra essere la logica soluzione.



Osservando i sali-scendi dei tasso di cambio che, seppur di breve durata e ampiezza limitata, erano fonte di incertezza – e quindi un freno – per il commercio internazionale, Tobin propose di tassare il volume stesso di questa attività finanziaria: una piccola “imposta” avrebbe reso anti-economica tale speculazione. Da qui a reinterpretare, come ai giorni nostri, la Tobin Tax quale contrasto alla speculazione finanziaria sui titoli di Stato, il passo è breve. Non ci si ricorda però che l’approccio di Tobin riguardava la sola volatilità (verso l’alto e verso il basso) di breve periodo, nella consapevolezza che i movimenti di lungo periodo, strutturali e di ampiezza significativa, non possono (e non devono) venir contrastati. Un “tremito” è una cosa, i fondamentali sono un’altra.



Per capire la differenza immaginiamo un titolo il cui prezzo sia 100 e una Tobin Tax in senso proprio, ad esempio come imposta dello 0,5% sull’importo dell’operazione di acquisto/vendita del titolo. Nessuno scambierà il titolo finché i target di prezzo oscillano all’incirca tra 99 e 100 perché il guadagno sul prezzo verrebbe “mangiato” dalla Tobin Tax. Se pensiamo di vendere a 100 per ricomprare il titolo quando il prezzo sarà sceso di quasi un punto, ad esempio a 99,005, ci aspettiamo di pagare uno 0,5 di Tobin Tax subito e come minimo un altro 0,495 al successivo riacquisto per ogni titolo, per una imposta totale di 0,995 che si mangia esattamente il lucro spuntato sul prezzo per ogni titolo; nessuno rischia un’operazione per nulla o per rimetterci, e questo vale in un intorno del prezzo pari a circa due volte la Tobin Tax (sia verso l’alto che verso il basso) e magari anche oltre (pensando di poter riacquistare a 99 il guadagno complessivo dell’operazione sarebbe di solo 0,005 a titolo, il che potrebbe non bastare a compensare il rischio). Rese anti-economiche queste operazioni, la loro mancanza farebbe restare stabile il prezzo del titolo da “proteggere”. La speculazione è sconfitta.



Ora pensiamo a una situazione che si sta deteriorando, a un titolo rappresentativo di un’impresa che progressivamente sprofonda in una crisi o, più aderenti al contesto attuale, al bond di un Paese dalle finanze sempre più dissestate e senza grandi prospettive di crescita. Possiamo pensare che, considerando i fondamentali del Paese, il prezzo “giusto” del bond passi, ad esempio di mese in mese, da 100 a 99,9 e da qui a 99,8 e così via… Il meccanismo della Tobin Tax renderebbe anti-economica qualsiasi operazione strutturata come sopra praticamente fino a che i fondamentali del Paese non implicheranno un prezzo “giusto” di circa 99; nel nostro esempio avremmo quindi almeno 10 mesi di prezzo stabile a 100. Ma se la situazione progredisse ancora, il prezzo coerente con i fondamentali potrebbe scendere ad esempio a 98,5, dove vendere al prezzo artificialmente bloccato significherebbe liberarsi di un titolo che vale 98,5 incassando 99,5 (100 meno la Tobin Tax), il che è già un bello stimolo alla vendita.

Inoltre, la strategia di vendere oggi e riacquistare al target di 98,5 (giustificata dai fondamentali e dal già descritto stimolo alla vendita) permetterebbe un lucro atteso sul prezzo di 1,5 pagando in tutto 0,993 di Tobin Tax, da cui un profitto netto di quasi 0,5 a titolo che può essere sufficiente per rischiare tale operazione; in breve, dopo cinque trimestri il mercato dell’esempio crollerebbe tutto insieme, e si ripartirebbe da capo. Questi sono i movimenti fondamentali, di lungo termine, che Tobin non si sognava di voler (o poter) contrastare. La speculazione vince.

La Tobin Tax si dimostra uno strumento di stabilizzazione di un prezzo (tasso di cambio, azione, o bond che sia) contro fenomeni speculativi di breve respiro, ma impotente contro movimenti di portata maggiore relativi a fenomeni strutturali drammatici. Il risultato è una stabilizzazione “locale” e, in tempi più lunghi, un andamento a “gradini”. Quanto maggiore è la Tobin Tax, tanto più lunga è la stabilizzazione fittizia, e tanto maggiore sarà l’improvviso crollo (o salto) una volta accumulata sufficiente “tensione inespressa sul mercato”. Inutile dire quale dei due casi sia più attinente al caso italiano.

Detto questo, cosa c’è dietro la retorica della Tobin Tax? Da una parte può esserci il tentativo di contenere pro tempore i tassi sui debiti pubblici, così da guadagnare tempo per completare la ristrutturazione di economie e finanze pubbliche. Da un’altra parte – la mia visione – molti paesi sono al bivio tra la sostanziosa riduzione dello Stato e la massima spremitura fiscale possibile; essendo palese che ridurre la spesa pubblica (strumento principe per la raccolta del consenso e quindi della legittimazione della classe politica) è quasi impossibile, diventa “ottimale” sfruttare qualsiasi immaginabile forma di imposizione fiscale specialmente se giustificabile con triviali richiami alla giustizia sociale o all’eticità o meno di certe attività. Se “far cassa” è il vero obiettivo degli Stati, tutti i ragionamenti precedenti – chiaramente – non servono a nulla.

Più di un anno fa, in altra sede (qui), profetizzai che “all’atto pratico la Tobin Tax sarà ridotta, e forse prenderà la forma di una tassazione di svantaggio sui soli profitti finanziari e non sulla operatività in sé (cioè non sarà una Tobin Tax)”. Effettivamente questa proposta è sul tavolo, si parla di tassare non l’operazione in sé, bensì il profitto ottenuto (differenza tra due operazioni di segno opposto), e sembra essere la via più percorribile. Certo, i profitti da attività speculativa subirebbero una frazionale decurtazione, ma sparirebbe quel freno totale almeno per una certa fascia di operazioni o per un certo (breve) termine.

Tutto ciò però rafforza l’impressione che l’obiettivo non sia la “protezione del mercato dalla speculazione”, bensì il mero “far cassa”. D’altra parte una vera Tobin Tax rischia effetti collaterali devastanti, tra cui il calo della liquidità del mercato e con esso un immediato scalino verso l’alto dei tassi di interesse (giusto quel che si vuol evitare), oltre che un blocco di attività per un sistema bancario che già passa momenti non facili.

Detto questo, si capisce anche come sia possibile che la Tobin Tax permetta la convergenza delle posizioni italiane francesi e perfino tedesche: non sarà una Tobin Tax.

 

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