Ma allora il progetto UnIntesa è una boutade oppure ci sta pensando e lavorando davvero qualcuno? UnIntesa sarebbe la creazione del principale gruppo bancario frutto della fusione-integrazione di Intesa con Unicredit. L’articolo di Massimo Mucchetti su Il Corriere della Sera ha fatto disperare tutti i colleghi di Mucchetti che, alle prime smentite dei banchieri, hanno gigioneggiato dicendo: ah ecco, quella di Mucchetti non era una notizia. Invece la notizia c’era eccome. Vediamo perché.



Ovviamente non bisogna snobbare le prese di posizione ufficiali. Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa, si è tirato indietro: lui non ha ispirato l’idea. Il consigliere delegato della stessa banca, Enrico Cucchiani, ha citato Shakespeare: “Tanto rumore per nulla”. Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit e uno degli uomini forti delle fondazioni, ha smentito aggiungendo che il progetto non avrebbe alcun senso. Il numero uno di Unicredit, Federico Ghizzoni, ha parlato di “follie”. “Ma sebbene tutto ciò sembri folle, c’è del metodo in questa follia, avrebbe detto il Bardo”, ha scritto Stefano Cingolani su Il Foglio.



L’unico silente è stato Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri e presidente di Cariplo, azionista di Intesa. Silenzio assenso? Quel che è certo è che Guzzetti aveva affidato lo studio del dossier al banchiere Claudio Costamagna.

Ma quali erano gli obiettivi del piano? Tutti si sono affrettati a dire: UnIntesa serve a blindare le due maggiori banche italiane da incursioni estere, quindi è meglio fonderle. Un cruccio che accomuna molti banchieri, specie quelli di vecchia generazione. Il fine è verosimile, lo strumento non all’altezza. Anche una futuribile UnIntesa potrebbe essere scalata da russi, tedeschi o arabi.



Ma è un’altra la blindatura che è auspicata di fatto tra banchieri e no, al di là delle dichiarazioni formali. Infatti, ad accomunare top manager e uomini delle fondazioni (in primis Palenzona) c’è l’italianità delle Assicurazioni Generali. Nessuno lo ammetterà pubblicamente, ma quello è uno dei timori principali. Anche perché a partire da Bazoli il ruolo di baricentro sistemico di Mediobanca è considerato meno solido del passato. E poi un robusto e liquido investitore estero perché si deve affezionare troppo, per acquistarla, una banca quando può mettere le mani nei forzieri del Leone?

Per questo al di là di strombazzati o enfatizzati obiettivi sistemici il progetto UnIntesa cela un interesse reale. Quello delle fondazioni di poter da un lato continuare ad avere risorse utili alle erogazioni, ora in decrescita, e dall’altro a conservare un ruolo preminente nell’azionariato delle due banche principali.

Sulla questione risorse, ovvero dividendi, il cronista Andrea De Biase su Milano Finanza ha ricordato gli effetti dell’incorporazione del Sanpaolo di Torino in Ca’ de Sass: “Gli incassi e le plusvalenze generati dalla cessione di sportelli, attività e banche controllate per i conti di Intesa Sanpaolo sono stati notevoli, permettendo lo stacco di generosissimi dividendi nei primi due anni successivi alla fusione e contribuendo a sostenere l’utile e il patrimonio di Ca’ de Sass”. E per dirla con una fonte di Bankitalia che preferisce l’anonimato, dal progetto UnIntesa si scorge la volontà delle fondazioni azioniste di Intesa di poter contare anche nell’aggregazione con Unicredit.

Altri benefici per le fondazioni bancarie li ha così sintetizzati a L’Espresso l’economista Giulio Sapelli, consigliere della Compagnia di San Paolo: “Guzzetti sa che la fusione creerebbe un gruppo ad alta capitalizzazione, che permetterebbe alle fondazioni di alleggerire i problemi in bilancio dati dalla svalutazione delle quote possedute nelle banche”.

Ecco, ora è tutto più chiaro. Come spesso avviene, le smentite sono notizie date due volte.