Tutti cercano un equilibrio: il Governo che sulla legge di stabilità si è detto disponibile a modifiche purché a saldi invariati; i politici impegnati nel modificare la legge di stabilità a seconda delle loro convinzioni e degli interessi che intendono tutelare; le famiglie alla ricerca di una difficile quadratura del cerchio.



Il fatto è che i soldi sono pochi e le esigenze da soddisfare sono tante e l’abitudine a spendere è diventata una caratteristica planetaria. Ne sa qualcosa Obama alle prese con il “burrone finanziario”, cioè con l’esigenza di arginare una spesa che non può continuare a scaricare sul futuro l’esigenza di una copertura. Il deficit di bilancio degli Usa durante il primo mandato di Obama è quasi raddoppiato arrivando vicino al Pil. Non era nei programmi di Obama, ma è stata la conseguenza scaturita dall’esigenza di fronteggiare la crisi e salvare le banche per evitare la paralisi dell’intero sistema.



La conseguenza è che non può continuare a sperare di mantenere la tripla A e a raccogliere denaro a costi molto bassi, facendosi finanziare il deficit dal resto del mondo. Tutti iniziano a chiedersi come faranno gli americani a ripagare i loro debiti e la fiducia non è più illimitata. I cinesi stanno rallentando il loro tasso di sviluppo e sono sempre meno propensi a continuare a finanziare il deficit Usa.

Dopo decenni in cui si è scaricato sul futuro, in cui si sono privilegiati i consumi senza preoccuparsi adeguatamente del livello di indebitamento, sta ora emergendo una domanda che si fa sempre più pressante: chi paga? Domandarsi chi paga è come domandarsi come si farà a far quadrare i conti, cioè quali tipi di scelte si effettueranno e il tipo di equilibrio che si raggiungerà.



La legge di stabilità non è quindi un problema italiano, ma riguarda tutto il mondo, anche se con intensità diverse. Il fatto che tutto il mondo si vada sempre più indebitando rende il problema di più difficile risoluzione. Per fortuna, l’Italia ha un Governo che ha ben chiaro di essere arrivato vicino al precipizio e ha attivato una serie di misure dolorose e impopolari, ma senza le quali oggi staremmo molto peggio.

La riprova non sono solo la Grecia e la Spagna, ma gli Stati Uniti stessi che, pur rappresentando la prima economia mondiale, essendo in campagna elettorale, hanno continuato a spendere per acquisire consensi e sono arrivati alle soglie del “burrone finanziario”.

La situazione italiana

In attesa di capire quali saranno le effettive decisioni in termini di legge di stabilità vale la pena di inquadrare il contesto in cui tale provvedimento si calerà. Il quadro economico internazionale è sempre più fosco. Oltre al già citato “ fiscal cliff” degli Usa, anche la Cina è in rallentamento e persino la Germania avverte sempre di più la crisi.

L’Italia è in mezzo al guado. Ha iniziato un’opera di risanamento che implica, nella prima fase, un rallentamento dell’economia e che potrà dare frutti solo continuando e portando a compimento il lavoro intrapreso. Un’eventuale interruzione e la conseguente perdita di credibilità avrebbe un effetto devastante. Già occorrerà far fronte a parecchie negatività non imputabili all’Italia e se a queste si aggiungessero gravi dissidi interni, la situazione diventerebbe particolarmente critica. In ogni caso la recessione continua, le risorse scarseggiano ed è importante mantenere la coesione sociale e dimostrare che i sacrifici sono utili.

Per questo il Governo è impegnato a offrire almeno qualche segnale di incoraggiamento e ripresa. Inizialmente aveva ipotizzato un taglio dell’Irpef di 6,7 miliardi nell’arco di tre anni. Poi si è scatenato un vivace dibattito sulle possibili alternative: cuneo fiscale, aiuto e sostegno alle famiglie, copertura agli esodati. Tutti propositi lodevoli e meritevoli di tutela. Il guaio è che occorre scegliere, essendo impossibile soddisfare tutte queste richieste e mantenere i saldi invariati. Il dibattito è ancora in corso, ma ormai si profila la soluzione che privilegia in primo luogo il cuneo fiscale, la cui riduzione è ritenuta indispensabile per dare competitività al sistema, e in secondo luogo i mezzi per allargare la protezione ai cosiddetti esodati, nome unico dietro il quale esistono realtà piuttosto diversificate.

Per questo è facile ipotizzare che non resteranno soldi per la famiglie, nonostante l’Udc ne abbia fatto la propria bandiera e ponga questa esigenza in cima alle priorità. Anche le altre destinazioni non sono in grado di cantare vittoria, perché cercando di distribuire i vantaggi questi, una volta ripartiti, finiscono per dimostrarsi esigui.

La riduzione del costo del lavoro, come ipotizzata, sarebbe talmente ridotta, una volta distribuita tra i vari beneficiari (forse 50 o al massimo 100 euro al mese) da non riuscire a incentivare il lavoro e l’occupazione, ma finirebbe per essere una redistribuzione di reddito. Il guaio è che fino a che non si riescono a tagliare i costi l’economia non potrà ripartire e non ci saranno risorse da distribuire.

Per gli esodati ogni tanto si parla come se il problema fosse risolto, poi si scopre che mancano i fondi e gli stanziamenti necessari sarebbero enormi mentre quelli reperiti sono molto contenuti. È il classico circolo vizioso che non si riesce a spezzare perché le classi dominanti sono feroci nella difesa dei loro privilegi.

Gli ultimi esempi sono sotto gli occhi di tutti: magistrati che dichiarano incostituzionali i tagli che li riguardano; politici che non riducono i rimborsi elettorali nonostante le loro dimensioni esorbitanti e gli usi scandalosi; burocrati che minacciano di tagliare le spese a maggior impatto sociale (per esempio, il riscaldamento nelle scuole) per evitare di tagliare i costi che potrebbero riguardarli più direttamente.

Fino a che continuerà la difesa esasperata del proprio orticello sarà molto difficile parlare di ripresa e ipotizzare una buona legge di stabilità.