Le sorprese con il Governo tecnico non sono mai finite. L’ultima è quella che ci viene dalle notizie che ci informano della volontà resa manifesta (e poi smentita) dal primo ministro di porre in atto un’imposta patrimoniale. È da tempo che si discute di questa proposta, che di primo acchito non fa che suscitare commenti ammirati da parte di coloro che vogliono unire all’austerità l’equità, e mettere in luce lo spirito di subalternità dinanzi alla politica deflattiva europea con un anelito alla giustizia sociale che le classi alte “parlanti” della nostra società vogliono a tutti i costi manifestare.



Come è noto, infatti, le classi alte, dette anche veblenianamente le classi agiate, tra i tanti modi in cui di differenziano, si distinguono anche per il fatto di essere “parlanti” o “non parlanti”. Le “non parlanti” generalmente svolgono il loro ruolo sociale nel meccanismo di accumulazione e di creazione del sovrappiù capitalistico senza rendere manifeste pulsioni politiche. Per carità, esse le hanno, ma se le tengono per sé o per ignavia o perché sono consapevoli di quanto sia pericoloso mescolare il diavolo e l’acqua santa, ovvero l’azione nella polis e l’azione nell’economia monetaria.



L’una e l’altra sono incompatibili, una volta che si sia superato lo stato aristocratico dello sviluppo sociale, dove la ricchezza era soprattutto quella del lignaggio e dell’onore che ha sempre scarsamente influenzato le decisioni politiche. Nelle democrazie territoriali, invece, dove i valori aristocratici non esistono più, ogni pulsione politica è rivestita dal potere situazionale della ricchezza che disvela l’illusione dell’uguaglianza legalistica del principio maggioritario e reintroduce nuovamente presupposti oligarchici.

Essi però sono di norma volgari perché interessati e non hanno nulla a che vedere con i valori dell’oligarchia aristocratica. Per questo trovo pericoloso per la trasparenza del processo poliarchico-democratico gli applausi che vengono alle proposte di qualsivoglia patrimoniale da parte dei ricchi incarnanti le odierne classi agiate. Parlo dei ricchi “parlanti” che vogliono pagare le patrimoniali con lo stesso spirito con cui fanno i filantropi nei confronti dei bambini e di tutte le povere creature che abbisognano di carità.



Questa carità dei ricchi parlanti, per dirla con la grammatica di Federico Ozanam (fondatore delle gloriose Conferenze di San Vincenzo), è carità pelosa che non ha nulla a che fare con la giustizia. Di più, è come andare dal confessore e confessarsi perché così si possa continuare a peccare. Ma naturalmente non si può impedire ai ricchi “parlanti” di parlare. Si può però impedire che facciano il danno di parlare attraverso un comportamento istituzionale che sposti l’eco del parlante dall’orizzonte della carità pelosa senza giustizia e quindi crudele, alla giustizia con la carità, e quindi benevolente e compassionevole.

Per far questo non bisogna istituire delle patrimoniali. Esse, in qualsiasi forma si realizzino, sono innanzitutto un provvedimento una-tantum che ricorda troppo da vicino i provvedimenti da “stato di eccezione” alla Carl Schmidt, in merito ai quali questo Governo si è assai bene distinto. Piuttosto che provvedimenti d’eccezione bisogna prima riformare il sistema di rilevazione topografica delle ricchezze: catasti, rogatorie internazionali tramite accordi con le banche straniere per controllare il nascondimento di capitali all’estero, incrocio delle banche dati che rilevano beni tecnologicamente individuabili con pochi aggiustamenti dei nostri sistemi informatici, che tuttavia non vengono effettuati per l’ostinata lobby che gli evasori effettuano sui decisori politici, tecnici o non tecnici che essi si chiamino. Insomma, prima di parlare di patrimoniale eliminiamo la vergogna di leggere statistiche che ci dicono che solo un pugno di persone in Italia guadagna più di 250.000 euro annui mentre, pensate un po’, la nostra casa automobilistica nazionale pensa di rifarsi il trucco producendo solo auto di alta gamma!

Insomma, questo governo dei tecnici non cessa di stupirmi. Possibile che non sappia che in un Paese ad alta densità di classi dominanti sovversive antistatuali e a bassa intensità di formazione di capitale, proposte come quelle della patrimoniale hanno come unico effetto quello di scoraggiare gli investimenti interni e stranieri in Italia? Francamente non se ne può più di rilevare la non competenza dei tecnici. È forse questo il vero problema che emerge.

Del resto parliamo di crisi delle classi dirigenti. Ammesso e non concesso che esse esistano in Italia, perché solo i tecnici dovrebbero essere esenti da codesta crisi? Per me il governo Monti conferma la tesi della decadenza tecnica di questo Paese. Ma dimenticavo che i tecnici sono solidali con le classe agiate “parlanti”. Parlano, parlano, perché solo i poveri hanno le lingue tagliate.