Quasi quarant’anni fa, Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani dedicarono il loro Razza padrona – storia della borghesia di Stato a Eugenio Cefis (presidente dell’Eni e poi della Montedison) con la seguente motivazione: “Quando prendeva una decisione gli interessi del Paese erano sempre dalla parte opposta”. Non è ancora chiaro quali decisioni prenderanno gli azionisti strategici di Telco e il cda Telecom sull’offerta del magnate egiziano Neguib Sawiris di ricapitalizzare l’“incumbent” delle tlc italiane con un investimento di almeno un paio di miliardi di euro. Ci sarà ancora tempo – almeno: sarebbe augurabile che ci fosse – perché tutti i player di questa vicenda (non ultimo il governo) valutino e confrontino con pari ponderazione i rispettivi interessi in gioco.



Ci sarà tempo anche per interrogarsi nuovamente sulle scorribande dell’ex patron di Orascom, un mediorientale cosmopolita sempre a perfetto agio sulle bollenti rotte mediterranee fra Italia e Medio Oriente, fra vecchia America e nuova Russia. Sempre con credito illimitato, Sawiris, sia nei palazzi romani che nelle banche milanesi ai tempi di Wind.



Ci sarà tempo per trarre un bilancio quindicennale della lunga privatizzazione di Telecom, che ormai sembra prossima a un approdo: fuori dal sistema-Paese dopo essere stata controllata pressoché da tutti i “capitalisti” del Paese (la famiglia Agnelli appoggiata da Prodi, la “razza padana” di Roberto Colaninno appoggiata da D’Alema ma niente affatto sgradita a Berlusconi; Tronchetti Provera e i Benetton dapprima appoggiati da UniCredit e Intesa, poi avversati dal Prodi-2 quando stavano negoziando con Slim e Murdoch; infine Mediobanca-Generali-Intesa con la partnership europea di Telefonica).



Quello che invece appare già ora difficilmente contestabile come “interesse del Paese” è lo scorporo della rete fissa Telecom e il presidio proprietario pubblico da parte di un soggetto già individuato: il fondo strategico infrastrutturale F2I promosso dalla Cassa depositi e prestiti. Telecom ha il diritto di diventare “media company” (e magari di fondersi con Rcs o con Sky Italia, com’era già negli intenti di Tronchetti nel 2006). Può emigrare verso altri mercati (il Sudamerica) per realizzare – se ne sarà capace – nuovi profitti e nuovi capital gain di Borsa – a vantaggio dei suoi azionisti. Ma la rete di nuova generazione (e gli investimenti di sviluppo) non possono che restare un bene pubblico italiano: soprattutto ora che una grossa parte dell’Azienda-Paese deve reinventare la sua competitività.

Banda larga ed energia devono essere “low-cost”, sono le risorse sussidiarie per eccellenza per frenare il declino e costruire la ripresa. Non possono essere lasciati a quella nuova “borghesia di Stato” che – un quarto di secolo dopo Cefis – non ha certo dato prova migliore: a cominciare dall’editore di Scalfari, che ebbe in concessione dallo Stato la prima patente di duopolista della telefonia mobile.