Sognando Telecom. Sembra di sognare, ma sembra che tutti sognino Telecom. Ieri ci eravamo svegliati con Naguib Sawiris, finanziare egiziano, uno degli uomini più ricchi del mondo secondo la Bibbia americana Forbes, disposto a investire fino a 5 miliardi di euro per diventare azionista di riferimento dell’ex monopolista delle telecomunicazioni italiane presieduto da Franco Bernabè. Ieri sera siamo andati a dormire (sonni comunque tranquilli) con Carlo Slim, imprenditore-finanziere messicano, padrone del colosso delle tlc America Movil, uno degli uomini più ricchi del mondo secondo la Bibbia Forbes, disposto ad affiancare Sawiris nell’avventura telefonica italiana, sborsando anche lui un bel gruzzolo di miliardi di euro. Si tratta solo di un’indiscrezione non confermata, questa di Slim, ma proviene dall’autorevole fonte Il Sole24 Ore, quindi va presa in considerazione. E fa di Telecom un acchiappa nababbi.
Questo interesse ha qualcosa di incredibile. Telecom Italia era un player rispettabile anche e livello internazionale quando: 1) era protetta da monopolio sul mercato interno; 2) aveva un azionista decente, vale a dire le deprecate partecipazioni statali. Con la privatizzazione è iniziato il suo declino. Prima sono arrivati lor signori, quelli del salotto buono capeggiati dalla famiglia Agnelli, che hanno costituito un nocciolo duro di azionisti (allora andava di moda) e con due lire (si era prima dell’euro) hanno preso il controllo della società, senza però sapere che cosa farsene. Poco dopo l’hanno ceduta alla razza padana di Roberto Colaninno & C. che ha incominciato a darle una bella sfoltita per poi cedere il passo (guadagnando una simpatica plusvalenza) a Marco Tronchetti Provera, che ha continuato l’opera alla grande. Telecom è uscita dalla cura dei grandi privati stremata e, per metterci una pezza, si è arrivati alla situazione di oggi: Mediobanca, Generali, Intesa sono soci della Telco che controlla il 22% di Telecom. Ma attenzione: azionista principale di Telco non è un italiano, ma la spagnola Telefonica. Con questo escamotage, Telecom tira a campare: formalmente è italiana, ma con un socio spagnolo che può fare la voce grossa in qualunque momento, anche perché è il solo a essere del mestiere. Quindi fino a ieri si pensava che, prima o poi, il giocattolo Telco si sarebbe rotto e Telefonica avrebbe preso il comando con tanti saluti all’italianità. Ma ci si è messa di mezzo la grande crisi finanziaria. Telefonica, cresciuta indebitandosi, è oggi in una situazione finanziaria precaria e non può digerire altri bocconi, soprattutto se indigesti come Telecom Italia, aggravata anche lei da un mare di debiti. Gli azionisti italiani, messisi insieme in Telco per amor di patria, non vedono l’ora di liberarsi dall’impegno e recuperare i loro capitali, visto che ne hanno bisogno per altre operazioni più pressanti (tipo la quadratura dei propri bilanci).
È in questo quadro che si profilano le due ombre di Sawiris e Slim: Telecom è pur sempre un operatore interessante perché l’Italia, anche se in recessione, è tuttora l’ottava potenza industriale abitata da 60 milioni di persone che usano telefono e connessi. Di fronte alle loro avances la società risponde divisa. Il presidente, Bernabè, sembra lusingato: “Se c’è interesse per noi, vuol dire che la società ha valore”. L’amministratore delegato, Marco Patuano, il giorno successivo, lo smentisce: “Non abbiamo nessun bisogno di quei capitali. Telecom può farcela da sola: andrà avanti con lo scorporo della rete e magari coinvolgerà la Cassa Depositi e prestiti”.
Una meraviglia: ecco riassunto in poche parole tutto quello che una grande realtà industriale non deve essere e fare, cioè dividersi, parlare con voci distinte e contrapposte. Ma in Italia si fa così: la nomina dei vertici è avvenuta come si faceva nella Prima Repubblica per formare i governi, usando il manuale Cencelli. I signori di Telco hanno pensato fosse opportuno dividere le deleghe fra presidente e amministratore delegato, secondo il vecchio motto del divide et impera, in modo da essere più presenti negli affari dell’azienda. Così, mentre i mercati finanziari guardano incuriositi questo interesse per una società italiana, i vertici della stessa litigano a mezzo stampa. Ottima performance.
Silvio prega. Tornato dal Kenya abbronzato, ma non molto dimagrito, l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ha trovato ad accoglierlo la notizia che la sua Mediaset chiuderà per la prima volta i conti in rosso, e anche pesante: 88 milioni. I suoi avvocati hanno cercato di consolarlo dicendogli che la sentenza di appello sulla vicenda Mondadori potrebbe essergli favorevole permettendogli di recuperare i 500 milioni circa pagati all’odiato Carlo De Benedetti in seguito alla sentenza di primo grado. Lui ha risposto che accenderà un cero; ma che non ci crede.
Alitalia vola in B. L’amministratore della compagnia ha detto in un’intervista: “L’idea di un tempo secondo la quale una compagnia doveva arrivare ovunque, è superata… Quello che conta oggi sono le alleanze, come quella con Air France-Klm…”. E ha continuato spiegando che la sua strategia consiste nel puntare sulle rotte nuove: Fortaleza, Tiblisi, Erevan. E i grandi scali, le grandi metropoli del mondo? Niente: quelle si fanno appunto con le alleanze. Cioè si lasciano ai partner, e azionisti, di Air France. Sembra di sentire parlare Sergio Marchionne: lui le automobili, quelle buone, non le fa perché le fanno già gli altri.
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