“Ci sarà un giudice a Trani!”. La tenace, leggendaria fiducia nelle istituzioni del “mugnaio di Postdam” che, nel racconto di Brecht, riesce a trovare a Berlino un giudice onesto al punto da dare torto addirittura all’imperatore Federico II di Prussia, sembra incarnarsi nella bizzarra vicenda delle agenzie di rating sotto accusa in Italia, dove un’oscura Procura, quella di Trani – paesino di cui a Wall Street probabilmente s’ignora anche l’esistenza – ha avuto il coraggio e la capacità di incastrare Standard & Poor’s e Fitcht (non Moody’s, per ora, ma il caso non è ancora chiuso) a una serie clamorosa di mancanze.
Surreale la reazione di Fitch: l’agenzia ha annunciato ieri “con effetto immediato” il black-out informativo sull’Italia, definendo l’accusa ricevuta dalla Procura di Trani “senza precedenti e priva di ogni fondamento”. Rappresaglia: sospendere tutte le comunicazioni al mercato riguardanti i rating e le emissioni italiane. E la pretesa, proterva, di ricevere “adeguate assicurazioni che questo tipo di incidente non si ripeterà”, come se qualcuno potesse dare a chicchessia simili assicurazioni: per fortuna no, in uno Stato di diritto la magistratura è autonoma. Una reazione così scomposta e intimamente sovversiva è peggio dei pur gravi reati di cui – per ora solo dai giudici istruttori – l’agenzia viene accusata.
La storia è ormai nota: la Procura pugliese ha chiesto il rinvio a giudizio di alcuni analisti e manager delle due agenzie. La parola è naturalmente al Gip, ma dalle argomentazioni addotte dai pm emerge una sfilza di dati di fatto e comportamenti, dimostrati da documenti per lo più ufficiali e comunque testuali, dai quali emergono errori grossolani, ignoranza crassa, strafottenza, cinismo assoluto e, su tutto, la determinazione di stangare l’Italia. Ma attenzione: la Procura non è caduta nel rischio “politico” di argomentare la tesi del “complotto” anti-italiano, ma è riuscita ad attenersi ai fatti.
La piccola procura – che in una telefonata intercettata due indagati paragonavano ironicamente a un Paesino dell’Oklahoma – chiede il processo a carico delle due agenzie per manipolazione pluriaggravata e continuata del mercato dei titoli di Stato italiani, in almeno quattro occasioni: il 20 maggio, il 1 luglio e il 5 dicembre 2011 e il 13 gennaio 2012. Con un danno da almeno 120 miliardi. Un episodio da ricordare, prima di trarre una conclusione: il 13 gennaio 2012 l’Italia perde la A e passa a BBB+. Renato Panichi, capo del Bank team per l’Italia, scrive ai superiori per l’Europa e denuncia l’incapacità di chi ha monitorato il sistema bancario, asserendo addirittura che il report è sbagliato e rappresenta il contrario del vero. Chiesta una nuova formulazione del testo, la ottiene: ma in inglese, quello italiano resta uguale, la Borsa italiana crolla…
Ecco: al di là delle “dietrologie” sul fatto, peraltro non assurdo ma non dimostrato e forse indimostrabile, che ci sia un mandato politico-plutocratico dietro i comportamenti spesso sincronici delle tre “big” del rating (a proposito, Adusbef e Federconsumatori chiederanno al gip di respingere la richiesta di prosciogliere i responsabili di Moody’s), il valore dell’inchiesta risiede proprio nella disinibizione con cui ha smascherato la pochezza professionale che conduce a certe valutazioni.
Un sintomo della grave sopravvalutazione che il mercato, per una deplorevole convenzione, continua a dare a questi strumenti e a chi li gestisce. E anche di un assurdo logico: è assurdo, cioè, che tre società private – a chiunque appartengano – abbiano un peso così rilevante nell’influenzare i mercati. Emettere giudizi di tale incisività non può essere un compito affidato a dei soggetti privati, dediti al lucro, e quindi per definizione non-indipendenti.
Il mondo lo sta comprendendo, la Cina fa già da sé con l’agenzia Dagong (che sta aprendo in Europa e ha stabilito a Milano il suo quartier generale europeo), la Banca centrale europea ha promosso la costituzione di una nuova agenzia dell’Unione. Meglio tardi che mai.