Attenzione, non siamo ancora alle scene greche, ma quanto accaduto ieri nelle strade di Roma, Milano, Torino e Padova deve far pensare. Dalle bastonate alle bombe carte, il passo è già stato compiuto: non vorrei che ora si passasse alle molotov. Certo, l’irresponsabilità di certi toni e parole d’ordine politiche non aiutano, ma la situazione sta davvero diventando pesante e cadere in strumentalizzazioni diviene facile. Anche perché i regolatori e i negoziatori – o presunti tali – ci stanno mettendo il carico da novanta per far precipitare la situazione.



Poche ore dopo aver ottenuto l’ennesima estensione di due anni per raggiungere la ratio debito/Pil del 120% (sembra la tela di Penelope), cosa fa il governo greco? Si rimangia le promesse fatte alla troika e che avevano reso possibile quella dilazione. Senza dire nulla a nessuno, infatti, il segretario generale del ministero dei Trasporti, Nikos Stathopoulos, ha reso noto che l’annunciato aumento del 25% del prezzo dei biglietti del trasporto pubblico, atteso per marzo, verrà spostato a ottobre. Di più, non solo l’incremento da 1,40 a 1,75 euro sarà rimandato, «ma speriamo di poter evitare del tutto l’applicazione di questa misura». Alla faccia della troika! Addirittura, i possessori di abbonamenti pre-pagati verranno rimborsati per i giorni di sciopero che hanno dovuto patire, in netto contrasto con quanto dichiarato solo la settimana scorsa dalla Athens Urban Transport Organization.



Direte voi, roba da poco. È vero. Un po’ più inquietante è invece il fatto che il ministro delle Finanze greco martedì abbia candidamente ammesso di non conoscere minimamente l’identità dei proprietari di 500mila proprietà, per le quali lo scorso anno non sono state pagate tasse, nonostante il meccanismo in base al quale il pagamento delle imposte era legato alla bolletta dell’elettricità. Bene, significa non solo che il fisco greco è un qualcosa da terzo mondo, ma anche che quel metodo sbandierato come la panacea di tutte le evasioni ed elusioni non è servito a nulla, quindi prepariamoci a dei dati di introito fiscale che – se non taroccati – saranno inferiori alle previsioni.



Quindi, non avendo ampliato la base imponibile, ecco che anche il debito non potrà che salire, non scendere. E come è potuto accadere? Semplice, i proprietari di casa intestano l’utenza elettrica a un prestanome, spesso morto e il gioco è fatto! Ma la mannaia del governo sarà spietata: «Se e quando il ministero sarà certo di aver accertato l’identità di chi si supponga debba pagare per ogni proprietà, invierà immediatamente solleciti di pagamento che includeranno multe e mora». Impagabile, “se” e “quando”: ma quando mai li troverai quei proprietari, visto che in Grecia di fatto non esiste nemmeno il catasto! In compenso, la confisca del salario e della proprietà stessa «sarà una misura solo di ultima istanza». Eh beh, non sia mai essere troppo duri.

Direte voi, allora dai ragione al rigore e alla severità tedesca? In questo caso di manifesta sciatteria sì, ma anche la Germania in questi giorni sta facendo i conti con il fatto che al suo interno esistono sacche di spreco, non a livello greco ma certamente poco in linea con le direttive di Schauble e soci. E non si tratta solo di cittadini che fanno i furbi col fisco, ma, bensì, dell’esercito, il quale sta letteralmente buttando via milioni di euro dei contribuenti producendo in proprio una serie di prodotti quali creme solari, balsamo per le labbra (utilissimo negli assalti alla baionetta), caramelle per la tosse e altre amenità, anziché comprarli all’ingrosso. Di più, nel corso della sua audizione, la Corte dei conti tedesca ha quantificato nel 90% la percentuale di questi prodotti per la cura personale che finiscono buttati via senza essere utilizzati, stando a quanto confermato dal presidente, Dieter Engels, alla Reuters.

Il rapporto annuale, infatti, stabilisce che l’esercito tedesco ha speso 20 milioni di euro per costruire una fabbrica in cui produrre i propri prodotti, tra cui spiccano anche spray nasali e repellenti per zanzare e pappataci. Stando alle conclusioni della Corte, sprechi del genere a livello statale non sono affatto un unicum e, di più, se il sistema amministrativo fiscale fosse maggiormente efficiente, la Germania potrebbe risparmiare ogni anno oltre 10 miliardi di euro. Insomma, non siamo al paradosso greco delle proprietà senza proprietari, ma anche l’austera Germania ha le sue magagne con cui fare i conti. La prima delle quali è il drastico taglio del numero di dipendenti degli uffici del fisco, la cui riduzione si è concretizzata in un calo delle entrate fiscali sul reddito, passate 911 milioni nel 2005 a 787 milioni nel 2010.

Di più, la Corte ha reso nota l’esistenza di un’agenzia federale che ha in dotazione 4350 computer per 1800 dipendenti! E, tanto per concludere, sempre l’organismo guidato da Engels ha invitato il governo a ridurre deficit e debito nazionale più velocemente, stando i dati diffusi la scorsa settimana rispetto alle necessità di finanziamento per il 2013 consistenti in 17,1 miliardi di euro. Avanti così, anche il pareggio di budget annunciato per il 2014, pare unicamente una sparata elettorale. Certificata dalla Corte dei conti, non dal sottoscritto. Ma si sa, i conti del vicino sono sempre più a posto.

In compenso, sono decisamente fuori controllo quelli resi noti martedì dalla Banca per i regolamenti internazionali, secondo cui al mondo esiste un nozionale lordo di derivati over-the-counter (ovvero, non regolamentati) pari a 639 triliardi di dollari, dieci volte il Pil mondiale, un numero che si traduce in 25 triliardi di valore di mercato netto e 3,7 triliardi di dollari di esposizione lorda di credito. Ma tranquilli, sono solo numeri ipotetici, non può succedere nulla. Oh Dio, se per caso nella catena delle controparti di quei contratti dovesse palesarsi una riduzione del collaterale reale qualche problemino a livello planetario potrebbe saltare fuori, visto che nessuno governo o banca centrale sarebbe in grado di arginare uno tsunami simile. Ma vedrete che non succederà, Basilea III con le sue regole nei prossimi cinque anni riuscirà ad abbattere quel numero nozionale e rendere meno mostruoso il rischio potenziale. Ne sono certo.

Però, il fatto che a fronte di una riduzione nel numero di contratti derivati su tassi d’interesse e credito, nella prima metà di quest’anno si sia registrato un aumento del 5% dei contratti derivati su valute, ora a quota 67 triliardi, mi fa un pochino paura. Proprio poca poca. Occhio, le strade bruciano. E la pazienza sta finendo.