Posto che il risanamento e la messa in sicurezza dei conti pubblici fosse la priorità assoluta, anche allo strumento adottato dal governo Monti per farvi fronte – l’aggravio fiscale – si dovrà pur imporre un limite: «Il consolidamento della finanza pubblica deve essere basato sul calo della spesa corrente e non sull’aumento delle tasse», ha detto chiaramente Mario Draghi nel corso dell’inaugurazione dell’anno accademico della Bocconi. Cos’ha fatto, da questo punto di vista, l’esecutivo in carica e cosa dovrebbe fare? Lo abbiamo chiesto al segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi.
Come valuta le affermazioni del presidente della Bce?
Diciamo, anzitutto, che per anni il meccanismo della spesa pubblica ha previsto che prima si spendesse e solo successivamente si individuassero le coperture per le spese effettuate. Laddove i soldi non si trovavano, si risolveva la questione indebitandosi. Un’esperienza traumatica per il Paese a cui si è sommata, come inevitabile conseguenza, l’enorme pressione tributaria cui siamo giunti oggi. Il primo cambiamento imposto dalla circostanza, quindi, riguarda il metodo.
Cosa intende?
E’ opportuno che un Governo si domandi quante tasse, ragionevolmente, è in grado di prelevare. Ovvero, a quanto ammonterà, realisticamente, il gettito e fino a che punto un cittadino può sopportare l’imposizione fiscale. E’ l’unico modo per agire secondo uno schema che individui le priorità, invece che disperdere risorse semplicemente per accontentare tutti. Per intenderci: quando un buon padre di famiglia sa esattamente di quanti soldi dispone, agisce di conseguenza. Magari decidendo che quell’anno non potrà comprarsi la macchina nuova, ma dovrà usare i soldi a disposizione per far studiare i figli. Detto questo, dobbiamo pur sempre ricordare che il risanamento, se finora è stato realizzato aumentando le tasse, è perché così voleva l’Europa.
Quindi?
Quindi trovo, tutto sommato, contraddittorio l’atteggiamento di Draghi; Monti sta pur sempre applicando le direttive contenute in una lettera del 2011 indirizzata dalla Bce all’allora Governo Berlusconi. Certo, ai tempi il presidente della Bce era Jean Claude Trichet. Ma non mi risulta che Draghi, prima di essere nominato al suo posto, non fosse già partecipe o pienamente consapevole degli indirizzi dell’Eurotower. Né che abbia mai sconfessato o preso le distanze da quella lettera.
Può descriverci la situazione cui siamo giunti oggi?
Le manovre del Governo ammontano, complessivamente, a circa 210 miliardi di cui oltre il 70% sono costituite da ulteriori tasse. Per il resto, si tratta di tagli. Non tanto agli sprechi, quanto ai servizi.
I soliti tagli lineari.
Esatto. Attuati, di norma, per scontentare tutti contemporaneamente, onde evitare di dover discutere con categorie che si sentono particolarmente penalizzate.
Lei, a questo punto, cosa suggerisce?
Occorre tagliare gli sprechi effettivi. A partire da un serio monitoraggio su quei 7mila enti pubblici che costano allo Stato svariati miliardi di euro e la cui utilità è spesso particolarmente dubbia. E’ necessario, inoltre, incidere su realtà quali società immobiliari, o esternalizzazioni attuate al solo scopo di aggirare particolari normative e che non hanno alcuna ragione di esistere; anche in questo caso, si tratta di costi enormi e ingiustificati, frutto del proliferare di consigli d’amministrazione e dell’assenza di qualsivoglia economia di scala. Altra materia sulla quale intervenire radicalmente è il grave deficit infrastrutturale.
Questo cosa c’entra con i tagli?
Semplice: se gli autobus non funzionano, le famiglie usano l’automobile. Il che, comporta evidentemente costi aggiuntivi per tutta la collettività.
E i costi della politica?
Vanno tagliati, siamo tutti d’accordo; ma si tratta di pochi milioni a fronte di un taglio che deve ammontare a decine e decine di miliardi di euro. Quel che conta è che le inefficienze della Pubblica amministrazione fan sì che la spesa per farla funzionare ci costi 11 punti di Pil, mentre in Germania solo 7; 4 punti di differenza, equivalenti a circa 64 miliardi euro. In sostanza, è necessario iniziare a convergere su una media di spesa europea. Attraverso un sano federalismo che applichi il criterio dei costi standard, e sia solidale, attraverso un opportuno sistema di trasferimenti, nei confronti di quelle regioni che, pur avendoli rispettati, sono in deficit.
(Paolo Nessi)