La scure del decreto Balduzzi sta per abbattersi pure sugli ospedali privati. Quelli accreditati, però, dove le cure sono gratuite. Equivalenti, quindi, a quelli pubblici. La logica di fondo prevede l’eliminazione delle strutture con meno di 80 posti letto. Ovvero, 257, più della metà degli ospedali privati complessivi (406). Il timore è che l’ennesima falcidia del Governo produrrà ben scarsi risultati se non, addirittura, effetti contrari alle intenzioni. Ne abbiamo parlato con Elio Borgonovi, professore di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche all’Università Bocconi di Milano.
L’impressione dei cittadini è che il Governo si ostini nel tagliare il welfare, i servizi e colpire le fasce più deboli, invece che snidare privilegi e ruberie presenti nella Pubblica amministrazione e nella classe politica.
Se valutiamo l’insieme della manovra, è chiaro che incidere sulla spesa sanitaria non sia la strada migliore. Tanto più che l’indicatore relativo alla spesa sanitaria italiana è inferiore o equivalente a quello di paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna. Del resto, un Governo che aveva la prospettiva di restare in carica un anno e mezzo sapeva bene di non poter incidere più di tanto sul fronte degli sprechi. Oltretutto, non disponeva neppure dei dati possibili per operare.
A fronte del reperimento immediato di risorse di cassa, c’è il rischio che, sul lungo periodo, la manovra produca più danni dei benefici?
Sicuramente. Nell’arco di pochi anni, c’è il rischio che diminuiscano i livelli di assistenza. Il che, metterebbe a repentaglio la sostenibilità sociale. Tuttavia, ci sarebbe una via d’uscita. Il Governo, infatti, pur nella necessità di dare repentinamente un segnale all’Europa, ha previsto l’ipotesi di demandare alle Regioni la possibilità di applicare i tagli secondo logiche non lineari, rinviandoli a periodi successivi.
Cosa intende?
E’ stato lasciata alle Regioni la possibilità di fare degli interventi mirati. Se lo vogliono, disponendo di tutti i numeri relativi ai conti degli ospedali privati, essendo esse stesse ad accreditarli, possono agire in maniera differenziata.
In che modo?
Ad esempio, come la Regione Lombardia, che ha introdotto il criterio secondo cui ai finanziamenti viene posto un tetto, per poi essere distribuiti sulla base del tipo e del numero di prestazioni erogate. In tal modo, gli ospedali si organizzano sulla base delle prestazioni in cui si ritengono più efficienti. In quest’ottica, la Regione può disporre la chiusura di quegli ospedali che non rispettino determinati parametri di efficienza. Non solo. A oggi, le Regioni e lo Stato potrebbero far seguire degli interventi, in termini di formazione e messa in atto di modelli organizzativi innovativi già esistenti.
Quali?
Ci sono, in Italia sperimentazioni avanzate di organizzazione ospedaliera. Andrebbe, per esempio, realmente implementata la norma che conferisce ai medici di base la possibilità di aggregarsi, per garantire l’assistenza 24 ore su 24, avvalendosi, magari, di strutture ospedaliere dismesse. A questo, potrebbe affiancarsi l’affermasi della logica secondo cui i pazienti vanno dimessi in tempi rapidi purché , successivamente, seguiti e non lasciati a se stessi e alle famiglie. In questo modo, si potrebbero mantenere livelli di assistenza elevati contenendo i costi.
Quali ostacoli si frappongono all’ipotesi?
E’ necessario che i medici interessati all’opzione siano istruiti sul da farsi e messi realmente nelle condizioni di agire. Onde evitare che il medico di base volenteroso di aggregarsi con dei colleghi sia scoraggiato dagli adempimenti burocratici. Sarebbe sufficiente, quindi, affiancargli del personale amministrativo che lo istruisca sui passi concreti da compiere, in termini di modulistica e permessi.
(Paolo Nessi)