Vi ricordate i bei tempi di una volta, quando in campagna elettorale il capo del partito dell’opposizione diceva di voler andare a governare perché il Governo precedente era stato “il peggiore Governo della storia della Repubblica Italiana”? Ah, bei tempi! Quei “peggiori governi” fanno la figura dei dilettanti in confronto all’attuale Governo dei tecnici. Non solo non si è mai vista una tale serie di risultati negativi in tutti gli indicatori principali (Pil in calo, deficit in crescita, debito in crescita, produzione industriale in caduta, disoccupazione in forte ascesa, ecc.), ma non si è mai nemmeno vista tanta goffaggine nell’azione di Governo.
Passiamo pure sopra alla serie di gaffes, sia di Monti che della Fornero, evidentemente poco avvezzi a trovarsi sempre sotto i riflettori e sempre al centro dell’attenzione. Spia di questo malessere di fronte a tanta attenzione è stata la richiesta della Fornero agli organizzatori di un convegno di far uscire i giornalisti, altrimenti poi a lei “tocca pensare” prima di dire ogni parola.
Basti pensare poi alla questione infinita degli esodati: prima non ci si è accorti del problema, poi lo si è minimizzato (se non ci avevano pensato loro, che sono i “tecnici”, doveva per forza essere un problema di poco conto), poi sono iniziate a circolare cifre a dir poco allarmanti, poi si è stati costretti a riconoscere che il problema non era comunque di poco conto (sessantamila? Centomila?), infine nell’ultima manovra si è stati obbligati a prevedere lo stanziamento di una somma da dedicare alla copertura finanziaria di chi, con la riforma Fornero, restava senza lavoro e pensione.
I continui errori tecnici di questo Governo dei “tecnici” ha rafforzato l’immagine di una compagine capace di tanta teoria, ma incapace della concretezza necessaria alla guida di un grande Paese come l’Italia. Le leggi, per poter essere applicate concretamente, hanno bisogno dei decreti attuativi. Di tutti quelli necessari, circa 400, alle riforme approvate da questo Governo, ne sono state approvati circa il 20%. Questo vuol dire che, come evidenziato da un articolo de Il Sole 24 Ore, che l’80% delle riforme del Governo dei tecnici è rimasta quasi lettera morta. Tale era la situazione a fine agosto, dopo circa dieci mesi di governo.
Viene un sospetto: che questo Governo non sia tanto di tecnici, ma di professori. Persone cioè che, nel chiuso delle loro teorie scientifiche, abbiamo poca dimestichezza con i limiti del mondo reale e con la necessità di risultati immediati e concreti. L’ultima della serie, ma prossimo boomerang in arrivo, rischia di essere la Tobin Tax. La tassa prende il nome da un economista, premio Nobel nel 1981, che per primo l’ha proposta. Ma Tobin aveva pensato a un’applicazione di una tassa a livello mondiale, da applicare specificatamente per i cambi monetari.
Come lui stesso affermò, “ciò che proposi nel 1971 ha a che fare con il mercato dei cambi e con il tentativo di ridurre la volatilità dei tassi di cambio. Tutto questo per permettere alle banche centrali nazionali di avere qualche potere nel determinare le proprie politiche monetarie di fronte alla vastità degli investimenti finanziari a livello globale”. Applicare localmente una tassa del genere è una cosa semplicemente demenziale, non ha senso. In un mondo globalizzato, dove i capitali si spostano alla velocità della luce, o se volete, alla velocità di un doppio clic, accadrà semplicemente che i capitali si sposteranno laddove questa tassa non esiste.
Inoltre, questa tassa non verrà applicata alle transazioni aperte e chiuse in giornata. La tassa del governo Monti, poi, non riguarderà le transazioni valutarie (sui cambi monetari) e le materie prime. Questo vuol dire che non verrà tassato il 90 e più per cento delle transazioni finanziarie. Verranno tassate le transazioni effettuate dalla classe media, fatte da chi si muove sull’azionario; mentre non verranno tassati i daytrader, chi fa speculazione, e, soprattutto, non verranno tassate le transazioni svolte dai computer, quelle operazioni capaci di trarre minuscoli e frequenti profitti da transazioni che durano anche pochi secondi. E, secondo voi, chi utilizza tali sistemi? Chi opera in borsa per fare investimenti, oppure chi specula?
Quello che potrà accadere è uno spostamento massiccio delle società di trading dall’Italia verso paesi dove tale tassazione non verrà applicata, con conseguente perdita di posti di lavoro e relativo calo del Pil. Tra l’altro, tali aziende non dovranno nemmeno fare molta strada: potranno trasferirsi comodamente a Londra, dove il Governo ha già fatto sapere che mai applicherà una norma del genere.
Ma non basta. Ad ammonirci sugli effetti dell’introduzione della Tobin Tax c’è pure la storia, che è sempre maestra. L’unico caso nella storia nel quale si è messa in atto una Tobin Tax è quello della Svezia: il primo gennaio 1984 fu introdotta sul mercato finanziario nazionale una tassa dello 0,5% che si applicava a tutti gli acquisti di titoli azionari e stock options. L’imposta venne poi raddoppiata nel 1986 e venne allargata per comprendere anche i titoli obbligazionari. Le transazioni crollarono bruscamente e il mercato finanziario svedese migrò immediatamente verso Londra. La Tobin Tax determinò un gettito fiscale inferiore del 75% alle attese e il mercato finanziario svedese fu annientato fino a tal punto che nel 1992 la Svezia fu costretta a cancellare la tassa. Il suo mercato finanziario impiegò circa quindici anni per ritornare sui volumi del 1984.
Un fallimento totale. Ora c’è da chiedersi: anche se a livello europeo si è affermato tale indirizzo, perché l’Italia sta anticipando i tempi, approvando la tassa prima degli altri paesi europei? Un altro favore alla Germania?
Non spero tanto nelle prossime elezioni, per le quali temo che l’ingovernabilità favorirà un Monti-bis. Spero invece negli italiani. Sì, spero anche in voi lettori. “Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica… quando uomini e donne di buona volontà…” (MacIntyre, Dopo la virtù).