È notizia recente il parere del Consiglio di Stato in merito alla bozza di regolamento Imu, che rigetta le parti del regolamento considerate sanzionabili in sede europea per mancato rispetto della disciplina sulla concorrenza.
Il parere fa riferimento al diritto dell’Unione europea, di fatto riproponendo i contenuti della Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato (G.U. n. C-8 dell’11 gennaio 2012) pubblicata nel mese di gennaio 2012.
La tesi di fondo, pur semplificando estremamente, è la seguente: laddove si sia in presenza di corrispettivi, diversi da quelli di importo simbolico e non commisurati al costo effettivo del servizio, la prestazione è di carattere economico e dunque da assoggettare a Imu. Il parere propone alcune attenuazioni di questo principio (per le attività recettive, ad esempio, rette che si discostano da quelle di mercato non fanno venire meno il diritto all’esenzione), che però non contraddicono l’idea di fondo di economicità del servizio sancita in sede europea.
Nella bozza di regolamento non pare, inoltre, essere positivamente affrontato l’annoso problema dell’utilizzo diretto della struttura e della decadenza dall’agevolazione per chi ospiti nei propri locali, anche a titolo gratuito, enti non commerciali che pur svolgano attività agevolate dalla normativa Imu.
Inoltre, ricordiamo che l’esenzione è da sempre applicabile solo agli enti definiti dalle norme tributarie non commerciali, essendo esclusi da tale definizione gli enti che svolgono attività di prestazione di servizi organizzati in forma di impresa. La definizione di ente non commerciale è oggetto di molte interpretazioni e spesso è tradotta dall’amministrazione finanziaria in modo assai restrittivo.
Siamo pertanto in presenza dell’ennesimo provvedimento assunto perché ce lo chiede l’Europa, a fronte del quale, però, sorgono alcune domande. Una fra tutte: le disposizioni europee sulla concorrenza sono adeguate a descrivere e normare i soggetti e le attività del non profit italiano?
Per quanto riguarda l’ambito europeo, siamo in un momento di evoluzione degli strumenti e del pensiero in materia di imprenditoria sociale. Si pensi all’importante documento presentato nel mese di novembre 2011 dalla Commissione europea relativo alla “iniziativa per l’imprenditoria sociale”, della quale viene colta ed evidenziata la specificità. Questo documento, infatti, pone le basi per il riconoscimento di una economicità non finalizzata alla distribuzione di utili, ma alla creazione di un valore sociale.
Per quanto riguarda il nostro Paese, la percezione di una non comprensione della posta in gioco cresce con il tempo che passa. Basti pensare che il dibattito intorno alla questione Imu continua a scivolare nelle sacche ideologiche del “pro o contro le agevolazioni alla Chiesa”, senza voler comprendere ciò che è invece palese: innanzitutto sono tutte le organizzazioni non profit ad essere implicate; in secondo luogo, si tratta di realtà senza le quali il peso della crisi sul nostro Paese sarebbe stato probabilmente insostenibile, con un prezzo ancora più alto in termini di persone colpite e di drammi umani e sociali.
È importante che sia fatta valere anche all’interno del dibattito europeo la diversità degli enti non profit rispetto ai soggetti che svolgono le proprie attività con finalità lucrativa e in un regime di libera concorrenza.
Tale diversità è profonda: dal punto di vista organizzativo, questi enti spesso vedono la presenza significativa di soggetti volontari, anche negli organismi di governance; dal punto di vista giuridico, l’appartenenza a categorie o albi creati per tipologie di soggetti non lucrativi li assoggetta a molti e pesanti vincoli nello svolgimento dell’attività e a molti controlli. In tal senso, la soggettività non lucrativa non è neutra rispetto alle modalità di svolgimento delle attività e alla ricaduta di tali attività sulle persone che fruiscono delle stesse.
Inoltre, le attività sono di frequente svolte dagli enti in collaborazione con i soggetti pubblici e a tutti gli effetti costituiscono una parte significativa dei servizi pubblici locali, e senza di esse la pubblica amministrazione non sarebbe in grado di garantire ai cittadini quei servizi e quelle cure che pur il nostro ordinamento prevede.
Tali forme di collaborazione – siano esse convenzioni o sistemi di accreditamento − regolamentano le modalità di svolgimento delle attività e in molti casi i relativi corrispettivi. Normalmente i costi di queste attività non sono interamente coperti da denaro pubblico per la situazione di grave carenza di risorse da destinare a servizi di interesse generale da parte dello Stato e dalle sue ramificazioni.
Si potrebbe andare avanti a lungo a descrivere “l’anomalia italiana”: una anomalia che esprime qualcosa di ancora presente nel nostro Dna; un impeto al bene di cui custodire e ricercare le radici, che incomprensioni e delegittimazioni non stanno riuscendo fino in fondo ad intaccare.
Gli enti non profit più di tutti stanno pagando il ritardo nella realizzazione delle riforme fiscali ed assistenziali e i problemi economici e finanziari dello Stato e delle pubbliche amministrazioni.
Il costo rappresentato dall’Imu, per soggetti spesso già economicamente vacillanti, potrebbe essere la celebre “goccia che fa traboccare il vaso”.
Eppure i dati relativi all’occupazione, ai servizi prestati, alle ore di lavoro gratuito e ai beni distribuiti gratuitamente da questi enti sono impressionanti.
Quando si ha il compito di rappresentare l’Italia in ambito anche europeo, l’esistenza di questa trama libera di solidarietà e sussidiarietà dovrebbe essere la cosa che si racconta con orgoglio, e con onore.
Per queste ragioni la sfida sull’Imu, che è solo l’ultimo dei tanti problemi che mettono a repentaglio la sussistenza dei nostri enti non profit, ha però fatto emergere senza ambiguità i termini di una sfida importante e paradigmatica; una sfida che ha a che fare con un’idea di società che riconosce la libertà e la responsabilità personale − con tutto ciò che questa posizione umana genera − e di dialogo europeo teso a valorizzare le eccellenze, contro la facile scorciatoia dell’uniformità.