Domani sarà ufficialmente presentato il redditest. Un software che entrerà nelle case degli italiani per consentirgli di verificare di essere in regola con il pagamento delle tasse. Un vero e proprio redditometro “fai da te”. Il funzionamento è semplice: si inseriscono tutte le spese sostenute nel corso dell’anno fiscale e rientranti in una delle cento voci messe a disposizione del programma, e i dati relativi al proprio reddito. Se si accende una luce verde, è tutto a posto. Se la luce è rossa, significa che il proprio tenore di vita è superiore al reddito dichiarato. E il cittadino avrà modo di capire cosa non quadra nella propria dichiarazione dei redditi prima che lo faccia l’Agenzia delle entrate con il vero e proprio redditometro. Paolo Costanzo, commercialista dell’omonimo studio di consulenza legale, spiega a ilSussidiario.net come evitare di cadere nelle “trappole” del fisco. «Non credo, anzitutto, che la pratica fondamentale consista nel tenere sotto controllo le uscite, come è opinione comune, quanto piuttosto le entrate; sono quest’ultime, infatti, che consentono di assumere un certo tenore di vita, vagliato dall’amministrazione finanziaria attraverso parametri legati ad alcune spese (immobili, previdenza, istruzione, tempo libero, mezzi di trasporto e altre spese, quali gioielli, spese mediche, donazioni, ecc.)». Quindi: il cittadino fa benissimo a conservare la documentazione a supporto delle spese sostenute. «Serve per dimostrare al fisco di non aver pagato nulla in meno del dovuto. Ma allo Stato importa molto di più sapere quali sono le entrate che hanno consentito di mantenere un determinato tenore di vita: da un lato, ci sono quelle legate al proprio lavoro, che dovrebbero essere già di per sé dimostrabili e dichiarate, dall’altro ne esistono di diversa natura che non danno adito a tassazione».
Ecco quali sono: «È possibile che una persona, ad esempio, riceva dei soldi dai genitori, piuttosto che da altri parenti, i quali, in situazioni di oggettiva difficoltà, abbiano deciso di erogargli delle somme. In questo caso è opportuno che il contribuente si annoti e tenga tra le proprie carte le entrate derivanti da questi aiuti». Va annotata, in generale, qualunque entrata ottenuta legittimamente, ma che non va dichiarata al fisco. «Ci sono le entrate tassate alla fonte, a titolo d’imposta, che non entrano a far parte della dichiarazione dei redditi, come le donazioni. O le vendite di immobili detenuti da più di cinque anni; l’entrata derivante dalla vendita non aumenta la base imponibile, ma conferisce una ricchezza che potrebbe consentire di aumentare il proprio tenore di vita. In tal caso, la cessione è soggetta unicamente all’imposta di registro che, per consuetudine, viene pagata dall’acquirente. La plusvalenza realizzata, quindi, non è tassabile e non determina materia imponibile».
Ovviamente, ricorda Costanzo, se una persona ha ceduto un immobile, se lo ricorda e di sicuro avrà ben conservato l’atto notarile. «Sta di fatto che si tratta di un fattore che potrebbe giustificare un tenore di vita differente rispetto a quello dedotto dal fisco; il quale, d’altro canto, così come considera, nelle sue analisi, gli acquisti di immobili ai fini del redditometro, dovrebbe considerare anche le cessioni. Più in generale, bisogna ricordare che il ricavo proveniente dalla vendita di oggetti non va indicato nella dichiarazione dei redditi».
E infine: «Ci sono i profitti provenienti dalla rendite finanziarie che, a seconda del regime adottato, potrebbero non aumentare la base imponibile della dichiarazione dei redditi. Mi riferisco, in particolare, ai titoli di Stato che, normalmente, vengono tassati extra dichiarazione, direttamente alla fonte».
(Paolo Nessi)