Riportiamo di seguito l’editoriale a firma di Riccardo Bonacina pubblicato sul numero di “Vita” di questo mese, già in edicola

Dicembre 2011. Il neo ministo del Welfare, Elsa Fornero, a cui nessuno potrà mai rimproverare di non parlar chiaro, intervistata da Vita sui programmi del Governo da poco insediato, ci disse: «La priorità è quella di rimettere a posto i conti dello Stato, il resto viene dopo. Quello che posso dire, è che se in futuro – che non credo sia prossimo – grazie alla ripresa economica si libereranno risorse, il terzo settore sarà in cima alle priorità». Era già tutto chiaro allora, anche se in molti, troppi, si erano illusi su un Governo, non eletto ma con un personale competente e autorevole e, in molti casi, già attento alla società civile e al Terzo settore (Riccardi, Ornaghi, Balduzzi, Passera, e lo stesso Monti, un quasi teorico dei quasi mercati e dell’economia sociale di mercato). Invece no, la Fornero già un anno fa e con uno stile per nulla choosy, aveva palesato la chiave culturale del Governo: il welfare è una spesa, perciò prima i tagli e poi, quando si tornerà a crescere, vedremo. Quasi un anno dopo, siamo più poveri, più indebitati, più tartassati, le prospettive di crescita di là da venire, i comuni rischiano il default, il Terzo settore è in ginocchio.



C’erano già in quella frase tutti i prodromi della brutalizzazione del Terzo settore e del welfare (e di conseguenza delle fasce deboli della nostra società) che sarebbe, poi, seguita sino ad oggi e che è ampiamente illustrata nelle pagine del servizio di copertina con abbondanza di date, di numeri e di voci a cui nulla posso aggiungere. Questo Governo, come altri prima, s’è mosso secondo antichi assiomi e dottrine, quelle che ci hanno inguaiato sino a questo punto, non scommettendo sull’unico bandolo possibile per la crescita, la rigenerazione della fiducia, la protezione della popolazione fragile attraverso la sua inclusione e messa a reddito, la leva da liberare della capacità donativa e associativa di questo Paese. Né addolcisce il giudizio la notizia che il Governo ha inserito 900 milioni per il sociale in capo alla Presidenza del Consiglio (che è? il tesoretto del Principe da elargire ai miserabili?)



De Gasperi, con l’Italia ancora distrutta dalla guerra, disse in suo discorso: “Quando lo Stato non ce la fa, si affidi ai suoi cittadini”. Ecco quello che un vero leader dovrebbe dire anche oggi, tirandone le adeguate conseguenze in termini di politica e di azione governativa. Invece il Governo Monti, in questo quasi anno di attività, anziché tagliare la spesa pubblica corrente (risibili sino a qui i pochi tentativi), invece di riconsiderare la spesa folle di 15 miliardi per gli F135, invece di aggredire i patrimoni e le rendite, invece di liberare le energie che la società italiana ancora esprime, come la sua capacità donativa, ha preferito proferir bugie ad ogni piè sospinto, mortificando queste energie, infierendo con tasse, accise, e mancati trasferimenti, sui soliti noti, pensionati, lavoratori, persone in difficoltà e persino volontari, cooperatori e donatori. Da che esiste Vita, 18 anni e diversi Governi (che abbiamo in proporzioni simili attaccati), forse non ci era mai capitato di leggere le enormità scritte nel decreto della Spending review a proposito di appalti pubblici vietati al privato sociale, o nella legge di stabilità a proposito di persone con disabilità (norme a cui si è messo una pezza per una mobilitazione che anche Vita ha incoraggiato e promosso e che è approdata in Parlamento in forma di emendamenti).



L’Agenda Monti in questo anno si è risolta in due pistole puntate alla tempia: “Ce lo chiede l’Europa”, “Ce lo chiedono i mercati”, che hanno dato origine a provvedimenti concepiti male e in fretta e scritti, spesso, peggio (da qui le eccezioni e le difficoltà regolative). Si può far di più e meglio. Perciò crediamo che chiunque voglia mettersi a disposizione del futuro di questo Paese debba mandare in pensione proprio l’Agenda Monti. Evitando ogni velleitarismo e scrivendo, infine, una pagina davvero nuova.