Constatata l’impossibilità di giungere a un accordo con il Parlamento europeo, i Capi di Stato e di Governo dei 27 dell’Ue si sono dati appuntamento per il 22-23 marzo a Bruxelles. Il tema di fondo è il bilancio Ue per i prossimi sette anni – argomento complesso e con molte dimensioni che impegnerà molto questa testata nelle prossime settimane. Le previsioni sono che non si arriverà a un accordo nei tempi stabiliti. Quindi per il 2013 (o almeno per i primi mesi dell’anno nuovo) l’Ue opererà con una forma di esercizio provvisorio.



È un negoziato che apre, a livello di politiche europee, finestre di opportunità per l’Italia (dopo le elezioni di marzo), con un ravvicinamento alla Germania (di cui si potrebbe diventare partner privilegiato dato il graduale scollamento della leadership di Parigi rispetto a quella di Berlino e data la sempre più marcata vocazione “atlantica” di Londra).



Oltre a queste grandi questioni sul futuro della politica europea (ampiamente trattate da molto testate) ci sono temi specifici a proposito dei quali dobbiamo chiederci perché continuiamo a farci del male da soli. Uno di questi è l’allocazione all’Italia dei fondi comunitari (strutturali e di coesione). Da anni, gli Stati neocomunitari chiedono di averne una quota più consistente rispetto all’Italia (dato, nonostante la recessione, il livello di reddito pro-capite). Per l’Italia, tali fondi costituiscono ormai la principale fonte di finanziamento di investimenti pubblici dato poiché la spesa in conto capitale dello Stato è passata dal 3,5% alla fine degli anni Novanta a circa l’1,5% all’ultima conta e quella degli enti locali si è quasi azzerata (a ragione del “patto di stabilità interno”). In breve, non si ripara una scuola, non si ammoderna una strada, non si migliora la difesa del suolo se non in co-finanziamento con l’Ue.



I Ministri, i diplomatici e i dirigenti impegnati nella trattativa stanno facendo di tutto per mantenere un’allocazione di fondi per l’Italia analoga a quella del settennato che sta per terminare. Tutti sanno che dato che alcune Regioni non riescono a spendere le somme loro affidate per progetti validi, si è accettato un metodo secondo il quale a metà del settennato le risorse non impegnate (con contratti efficaci) verranno dirottate verso altri Stati dell’Ue.

C’è, però, un aspetto tecnico-economico più profondo: da oltre tre lustri, a ogni negoziato per la trattativa relativa ai fondi europei, promettiamo di aggiornare i parametri di valutazione e i criteri di scelta dei progetti, come fanno quasi tutti gli Stati Ue, spesso con periodicità triennale e con l’apporto dei rispettivi Consigli economici e sociali (e, dunque, delle Parti sociali). Da noi regna quello che un alto funzionario Ue definirebbe il caos.

In sintesi, parametri e criteri sono stati elaborati negli anni Ottanta dall’allora Ministero del Bilancio e della Programmazione economica sulla base di una metodologia econometrica aggregata, volta a stimare il rendimento marginale dell’investimento in opere pubbliche. Essi hanno fornito la base di una delibera del Cipe del 1984, emendata, per gli investimenti nel Mezzogiorno, da una direttiva della Presidenza del Consiglio del 1986. Tanto la delibera Cipe, quanto la direttiva della Presidenza del Consiglio, sono ormai obsolete, tanto più che erano basate, a loro volta, su una serie storica di dati di rendimento marginale dell’investimento pubblico nel periodo 1950-1980 (la prima) e su mai motivate, o anche solo esplicitate, decisioni amministrative (la seconda).

Nell’analisi del Ministero del Bilancio aveva, quindi, un peso rilevante l’alto rendimento marginale dell’investimento pubblico nel periodo del “miracolo economico”. Quella della Presidenza del Consiglio parrebbe, invece, privilegiare i rendimenti di lungo periodo nel Mezzogiorno, in assenza di una nota o di una spiegazione tecnica mai fornita. Nel 2007, un documento di lavoro dell’Uval (l’Unità di valutazione ora presso il Ministero dello Sviluppo Economico) ha proposto un aggiornamento, peraltro mai ufficializzato, del parametro più significativo, il tasso di attualizzazione per l’investimento pubblico, basato sostanzialmente sui lavori della Commissione europea e sulle direttive amministrative per le istruttorie di piani e progetti a valere sui fondi strutturali europei. Nel contempo, Il Ministero degli Affari Esteri ha emanato, una ventina di anni fa, un Manuale che segue una metodica differente da quella della delibera del Ministero del Bilancio. E nel 2006 la Scuola superiore della pubblica amministrazione ha emanato una Guida operativa che aggiorna in parte i lavori precedenti, ma con obiettivi principalmente didattici.

Non che il Parlamento sia rimasto inerte: una legge del 1999 (la n. 144) stabilisce che ci siano accurati studi di fattibilità per i progetti di investimento pubblico, ma non fornisce indicazioni su parametri di valutazione e criteri di scelta, e comunque non viene applicata. Ancora più grave è che quasi nessuno ha dato seguito alla recente legge di riforma del bilancio pubblico (L. 31 dicembre 2009 n. 196) i cui si prescrive, all’art. 30, la “predisposizione da parte dei Ministeri competenti di linee guida obbligatorie e standardizzate per la valutazione degli investimenti”. È naturale che a Bruxelles si sia perplessi e si pensi di decurtare l’allocazione dei fondi all’Italia sino a quando non si sia messo un po’ d’ordine.

Un anno fa, il Cnel ha approvato un Documento di Osservazioni e Proposte a Governo e Parlamento sulle infrastrutture in cui indicava l’urgenza di predisporre un quadro generale coerente e aggiornato nell’ambito del quale i singoli Ministeri possano definire le loro specifiche linee guida obbligatorie e standardizzate. Un nuovo Documento di Osservazioni e Proposte è pronto da mesi. È difficile comprendere perché la sua formalizzazione venga ritardata visto che non solo è stato condiviso in toto da quasi tutte le Parte sociali e supportato dai principali Ministeri. Alti livelli di Ocse, Banca Mondiale, Nazioni Unite e di alcuni dei principali centri di ricerca internazionale sono scesi in campo perché venga varato al più presto.

Inoltre, nel corso della preparazione del documento è giunto un invito al Cnel ad assumere un ruolo nella preparazione di una Guida operativa per l’analisi di investimenti pubblici (e di operazioni di finanza di progetto) attualmente allo stato iniziale di preparazione da parte dell’Uval del Ministero dello Sviluppo Economico, della Cassa Depositi e Prestiti e dell’Irpet (l’Istituto regionale di programmazione della Regione Toscana).

Le scadenze sono ormai immediate. Non facciamoci altri danni.