Befera day.  E’ la giornata di Attilio Befera. Il direttore generale dell’Agenzia delle Entrate è riuscito finalmente a varare il suo redditometro, quella sorta di macchina della verità fiscale che permetterà a ogni contribuente di verificare se quanto dichiara al fisco è congruo rispetto al suo tenore di vita. Tenore di vita oggi accertabile molto più facilmente di un tempo grazie alla tracciabilità (taglio all’uso dei contanti) e all’abbattimento del segreto bancario deciso dal Governo di Mario Monti che ha fatto (concretamente e non solo con annunci) della lotta all’evasione un punto importante della sua azione. Questo redditometro è una specie di fai da te: ogni contribuente potrà vedere se lo scarto (o vogliamo dire spread, tanto per essere alla moda?) fra quanto dice di guadagnare e quanto in realtà porta a casa ogni anno è tale da far accendere una spia rossa e richiamare l’attenzione dell’Agenzia delle Entrate. Una volta fatta questa verifica, spetterà a lui decidere se adottare una condotta più virtuosa o continuare sulla cattiva strada, sapendo però che in questo secondo caso una visita dei Befera boys sarà molto probabile.



Quello che impressiona è la quantità di lavoro che aspetta l’agenzia e tutta la macchina addetta agli accertamenti. Secondo i dati comunicati dallo stesso Befera durante la presentazione del Redditest, ci sono attualmente 4,3 milioni di italiani che dichiarano redditi non coerenti con le spese sostenute.   E’ una cifra impressionante, una piccola nazione. Ora, fare previsioni è sempre un mestiere difficile e nemmeno Befera e i suoi tecnici si azzardano a farlo. Però sarebbe importante sapere quanti di questo “popolo di infedeli” verosimilmente sarà sollecitato a convertirsi dalla paura del Redditest. Perché se il suo effetto sarà limitato, se gli evasori continueranno a nascondersi nel gruppo, così come fanno gli animali del branco sperando che l’attacco del predatore tocchi a un altro, allora il lavoro che Befera e i suoi dovranno affrontare si presenta quasi insostenibile. Fare 4,3 milioni di accertamenti è un’impresa titanica, secolare. Ma dei risultati della lotta agli evasori c’è bisogno subito.



Sulla via di Berna. Sempre in tema di lotta all’evasione, da giorni si parla di un’altra buona notizia che potrebbe arrivare dalla Svizzera: sembra che presto, addirittura entro la fine dell’anno, si potrà firmare il tanto atteso accordo fiscale fra Roma e Berna che consentirà di tassare i capitale italiani ancora clandestinamente custoditi nelle banche elvetiche e che non hanno usufruito dei quattro precedenti scudi. Questa volta il prezzo da pagare per sanare le posizioni e continuare a garantirsi l’anonimato sarà molto più alto che in passato, visto che si parla di un’aliquota fra il 25 e il 30 per cento.



Su questo accordo qualcuno ha già espresso dei dubbi. Non sulla misura in sé, ma su quanto alla fine renderà davvero allo Stato. Non si conosce l’ammontare di questi capitali clandestini; si parla di 100, 150 miliardi di euro. Però c’è un problema. Dell’accordo per scovarli e tassarli si parla da più di un anno. Gli evasori più recidivi e sofisticati (cioè i pesci grossi), fiutato il vento, probabilmente hanno già traslocato in un altro paradiso dove sarà difficile rincorrerli. Quindi è bene non farsi troppe illusioni sul tesoretto che lo Stato italiano potrà portare a casa.

 

La guerra di Tabacci. Ieri sera a Ballarò, Bruno Tabacci, parlamentare di lungo corso, Assessore al Bilancio al Comune di Milano e candidato alle primarie del Pd, ha rispolverato uno dei temi che gli sono più cari: il primato della politica. Negli ultimi anni, ha detto in sostanza, la politica ha ceduto troppo spazio alla finanza, che è diventata il vero centro del potere. E’ una situazione che non può continuare, il rapporto deve essere ribaltato: la politica deve tornare a esercitare il suo primato, come succede in ogni democrazia, e la finanza deve avere il ruolo di servizio all’economia. Sono parole da condividere. Si può, tuttavia, far notare a Tabacci che in Italia è stata la politica ad abdicare. Quando un Paese per decenni accumula debito pubblico fino ad arrivare alla cifra record di 2 mila miliardi, perde la sua sovranità. Ogni giorno deve andare sui mercati internazionali con il cappello in mano offrendo interessi sempre più onerosi per ottenere nuovo credito. Chi chiede soldi non ha molti poteri e deve accettare le regole di chi glieli dà. E’ quello che sta succedendo all’Italia e alla politica italiana.

 

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