Guardate il grafico a fondo pagina, parla più di mille articoli. Rappresenta l’esposizione all’Italia delle banche dei vari Paesi Ue, sia a livello di detenzione di debito pubblico, di investimento nel settore bancario e in quello privato non bancario alla fine di marzo 2011. Di quella somma totale, 97,6 miliardi di euro erano nel settore pubblico – ovvero titoli di Stato -, 41,8 miliardi l’esposizione verso le banche e 253,2 miliardi verso privati non bancari.
Ora, Bnp Paribas, Credit Agricole e Societe Generale dalla metà del 2011 a oggi hanno già tagliato del 44% le loro detenzioni combinate di debito sovrano italiano (contro il 79% di quello spagnolo), per un totale di circa 8,3 miliardi di euro, ma questo non basta ancora visto che restano 37,6 miliardi di euro di debito italiano in capo a Parigi. E allora ecco che arriva il taglio del finanziamento per le operazioni in area euro al di fuori della Francia, ma resta un dato: a differenza di quanto accade verso le controparti spagnole, alla fine del 2011 le banche francesi avevano ancora prestiti in atto verso soggetti italiani per circa 300 miliardi di euro, contro i soli 95 miliardi verso borrowers spagnoli.
Capite che il downgrade del rating francese da parte di Moody’s, a questo punto, va preso sul serio, basti leggere la cifra espressa in miliardi di euro. E non perché siano serie le agenzie di rating e le loro valutazioni (cantonate di vario ordine e grado degli ultimi cinque anni sono lì a dimostrarlo), ma perché implica due cose: primo, gli Usa sono scesi in guerra finanziaria per tutelare il dollar standard. Secondo, ora le banche francesi faranno di tutto per scaricare l’esposizione ai paesi periferici, una delle tre motivazioni del downgrade, e quindi anche quella monstre che hanno ancora nei confronti del nostro Paese.
D’altronde, l’operazione è già cominciata, ma ora si rischia davvero lo scossone sistemico per il nostro Paese, per mesi dato in pericolo a causa del potenziale contagio spagnolo e ora davvero in allarme per il deleveraging transalpino. È di poche settimane fa l’ufficializzazione da parte di Crédit Agricole della chiusura della sua geniale e fruttuosa esperienza greca, cedendo la controllata Emporiki ad Alpha Bank. Il gruppo francese ha finalizzato l’accordo per la cessione dell’istituto ellenico con l’obiettivo di completare l’operazione entro il 31 dicembre 2012, una volta ottenuto il via libera delle authority competenti. La transazione, deliberata dal board di Crédit Agricole nei giorni scorsi, ha già ricevuto l’ok del cda di Alpha Bank e dal Fondo ellenico di stabilità finanziaria. L’operazione, si legge in una nota, impatterà negativamente per circa 2 miliardi sul terzo trimestre dell’istituto francese. Come già annunciato, la cessione – che avviene al valore simbolico di un euro – comporterà la ricapitalizzazione di Emporiki da parte di Agricole per 2,85 miliardi di euro (2,3 miliardi già versati a luglio) e la sottoscrizione di bond convertibili Alpha Bank per 150 milioni. Evvai, veri e propri geni!
Sapete quanto devono tagliare di esposizione ai cosiddetti paesi periferici le principali banche francesi, soprattutto Bnp Paribas e, appunto, Credit Agricole? Centoquaranta miliardi di euro dei circa 150 che le due corazzate più Societe Generale e Natixis hanno pompato dall’operatività interna verso i loro rami di business diretti ai cosiddetti Piigs, frutto questo della campagna di colonizzazione posta in essere nei dieci anni seguenti l’introduzione dell’euro, quando gli istituti francesi investirono circa 36 miliardi di euro in acquisizioni tra Spagna, Italia, Grecia, Portogallo e Irlanda. Le sole Bnp Paribas, Credit Agricole e Societe Generale sono appese a qualcosa come 143 miliardi di euro, stando a Morgan Stanley. Per Pimco, il principale operatore obbligazionario del mondo, «ridurre il finanziamento tra casa madre e unità locali nei paesi a rischio è la via più sicura per gestire il rischio in periodi di crisi».
Qualche numerino ancora? Pronti, alla fine di luglio il titolo di Bnp Paribas aveva perso il 43% rispetto a un anno prima, quello di Credit Agricole del 67%, quello di Societe Generale del 57% e quello di Natixis del 43%. Performance davvero notevoli, chissà cosa aveva tanto da sghignazzare Nicolas Sarkozy di fronte a numeri del genere… E proprio il profilo quasi unicamente europeo delle banche francesi, a differenza ad esempio di quello più internazionalizzato di Hsbc o Banco Santander, fa aumentare il profilo di rischio per quegli istituti, anche se in teoria possono vantare l’organizzazione più efficiente del mercato (ne dubito).
Vogliamo parlare della leva? Le banche francesi sono tra le più esposte al mondo, con il solo Credit Agricole che può vantare una rassicurante ratio 1:66, oltre tre volte il leverage di Lehman Brothers quando è crollata. E lo stesso Credit Agricole, oltre alle detenzioni a rischio, sconta anche il rischio diretto di un possibile traballare dell’Italia attraverso la sua controllata Cariparma, la quale vantava alla fine di marzo un incremento netto dei depositi, eccedenti i prestiti ma al netto di altri assets legati a franchising o corporate&investment banking e alla quota del 61% in Agos Ducato, leader del credito al consumo, stando a Kepler vedono il gigante francese con un gap di finanziamento di 22,8 miliardi in Italia.
Guai anche per Bnp Paribas, la quale oltre a cercare di limitare l’esposizione verso i mercati più a rischio, in Italia deve fare i conti con la controllata Bnl, i cui prestiti sono doppi rispetto ai depositi e la quale ha ottenuto 5,2 miliardi di euro all’1% di interesse nella prima asta Ltro della Bce, mentre riguardo un eventuale utilizzo anche della seconda operazione di finanziamento Bnp Paribas non ha offerto dettagli. Certo, i dati resi noti il 6 novembre scorso ci dicono che Bnl ha registrato un aumento del 3,5% dei depositi e un calo degli impieghi in linea con il mercato, ma un eventuale shock sistemico non può essere arginato attraverso una strizzatina allo stato patrimoniale. Sempre Bnp Paribas, poi, in Italia opera attraverso il secondo soggetto di credito al consumo, Findomestic.
Insomma, come vedete il downgrade del rating francese ci interessa più di quanto possa sembrare. Per ora i mercati sono buoni e tranquilli, lo spread resta placido e si finge che tutto vada bene. Attenzione, però: l’ennesima fumata nera sugli aiuti alla Grecia, con un’altra settimana di discussioni e speculazioni di fronte a noi, prima che la Merkel si degni di aprire il portafoglio, potrebbe ingolosire qualche ribassista e riattivare i radar su una possibile rottura dell’area euro, quantomeno con l’addio di Atene. Il fatto poi che l’Economist sapesse del downgrade francese e lo abbia anticipato di quattro giorni attraverso la sua copertina, ci fa capire quali interessi siano in gioco e quale il sia il calibro dei protagonisti.