Con sulla bocca la parola d’ordine “Più Europa”, i leader dell’Ue vanno a Bruxelles, ma ritornano a casa dopo l’ennesimo vertice che si è rivelato un flop. Un “tutti a casa” per poi rivedersi un’altra volta, magari ritornando a predicare rigore e austerità, “compiti a casa” da ripassare e migliorare in nome di un’ Europa che appare sempre più strana, da un certo punto di vista, e sempre meno unita se non negli interessi dei singoli Stati di recuperare e di rientrare dai loro crediti. Che cosa c’era di più europeo e europeista che l’approvazione di un bilancio comune, magari di arricchirlo per mostrare compattezza e coesione? Invece, le cose sono andate diversamente. David Cameron ha subito comunicato che avrebbe posto il veto. E messo insieme questo atteggiamento britannico con il precedente rifiuto sul “fiscal compact” si deve prendere atto che la Gran Bretagna appare fuori dalla complicata architettura europea con tutti e due piedi. Ma anche il francese Francois Hollande è letteralmente andato “fuori dai gangheri”. E, si dice, che persino il nostro primo ministro, Mario Monti, abbia fatto la voce grossa. Ma al di là dei singoli atteggiamenti, delle “voci grosse” dei vari primi ministri e rappresentanti dei paesi europei che cosa resta di questo vertice? Come dopo ogni summit ritorna un ritornello rassicurante: in fondo non è un dramma, in fondo facciamo ancora in tempo. Monti riesce a fare l’acrobata parlando di “progressi significativi, ma non ancora sufficienti” nel negoziato. Il linguaggio è quello del “tecnico” che ha imparato presto il politichese. In questo territorio franoso interviene anche il Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, per rassicurare da un lato i mercati sulla solidità finanziaria dell’eurozona, ma nello stesso tempo per ricordare che questa stabilità è dovuta all’intervento della Bce annunciato quest’estate e poi realizzato con l’acquisto di bond a tre anni. Chissà che non sia un messaggio perché qualcuno non dimentichi alcuni passaggi fondamentali. In tutto questo però ci si chiede quale può essere il significato politico di questo ennesimo vertice andato a vuoto. Claudio Borghi Aquilini, docente di Economia degli Intermediari finanziari all’Università Cattolica di Milano, non si stupisce tanto di fronte a questo ennesimo flop: «Direi che vedo una grande contraddizione in questi membri dell’Ue. Le loro azioni sono contrarie ai loro auspici. Nei limiti consentiti non c’era migliore occasione di varare e aumentare il bilancio europeo. Non sono loro che richiamano sempre il concetto che ci vuole più Europa per risolvere i problemi della crisi e dell’economia in generale? Dove tutto si mette in comune? Alla fine si ritorna sempre al punto di partenza e si offre l’impressione che, coerentemente, tutti i rappresentanti degli Stati, tranne forse il nostro, fanno i loro legittimi interessi. Vale a dire che vogliono rientrare dai loro crediti. Forse è quest’ultimo punto che li tiene ancora uniti. Per il resto, come giudizio complessivo, si può dire che da questo vertice si trae la conclusione che all’Europa veramente unita non ci credano neppure loro».
Scusi professore, ma questo vertice europeo arriva dopo un anno che si può definire, eufemisticamente, molto complesso. In Grecia si è tentato di cambiare in tre anni mentalità sotto tutti i punti di vista, con un risultato che fa venire i brividi. I dati italiani sono quelli che sono, davanti agli occhi di tutti, perseguiti con grandi sacrifici per riacquistare credibilità internazionale, soprattutto in Europa. Per questa Europa, che inanella un ennesimo vertice che non arriva ad alcuna conclusione.
Forse tutto questo offre la misura delle cose che ci vengono dette, che ci vengono raccontate. La mia impressione è che continueranno a fare vertici e a rinviare i problemi. Prenderanno tempo, il loro sistema è quello di prendere tempo. Staranno insieme quasi per forza di inerzia, ma difficilmente risolveranno qualche cosa. Alla fine viene proprio in mente che questa storia del “Più Europa”, di fronte a simili risultati, a persone, statisti che non prendono neppure in considerazione gli shock asimmetrici dell’eurozona, sia una sorta di balla. Magari neppure perseguita come un complotto, ma partita per alcuni interessi e poi cresciuta nel tempo con errori e miopie grossolane di carattere politico ed economico.
A volere una moneta forte con il cambio fisso fu la Confindustria tedesca, perché dava fastidio soprattutto l’industria italiana.
È vero, fu proprio la Confindustria tedesca a volere fortemente questo fatto. Naturalmente, Romano Prodi si entusiasmò per l’Europa unita e via cantando. Tutto sommato anch’io non credo che tutto questo tormentone sia una manovra perfetta, come alcuni sostengono. Non credo ai complottoni. Nasce un interesse, lo si difende e altri ci cascano e non capiscono. Adesso tornare indietro è difficile, ma è improbabile che tutta questa contorta vicenda possa andare avanti per lungo tempo. Anche perché ripeto: l’impressione è che ormai neppure i partecipanti ai vertici, con le loro azioni e i loro atteggiamenti, credano a un’Europa veramente unita
(Gianluigi Da Rold)