La resa dei conti globale su Basilea 3 è più politica che tecnico-finanziaria. Ed è Mario Monti – premier tecnico e politico, leader accreditato su entrambe le sponde dell’Atlantico – a doversi far carico ultimo, in queste settimane, di difendere gli interessi dell’Azienda Italia e delle sue banche: verso i mercati anglosassoni ma anche in Europa. Lo dice a Ilsussidiario.net Antonio Quaglio, senior editor de Il Sole 24 Ore.



Le banche italiane hanno ragione a chiedere il rinvio di Basilea 3?

Sì e l’Abi ha più che doppi buoni motivi nel ribadire con forza la presa di posizione della Federazione bancaria europea. Un mercato vero c’è solo quando le regole sono “livellate” per tutti: lo ha insegnato e preteso proprio l’ultraliberismo anglosassone. Se l’America ora rovescia il tavolo delle regole che proprio la finanza di mercato ha creato e imposto, perché l’Europa dovrebbe penalizzarsi? Perché mantenere nei tempi e nei modi più stretti gli standard di auto-controllo di solidità patrimoniale e liquidità? E poi le banche italiane i loro compiti a casa li hanno già fatti, tutti e senza sconti.



In che modo?

Hanno superato la crisi bancaria senza i drammatici fallimenti verificatisi negli Usa, in Gran Bretagna, in Olanda, in Spagna e anche in Germania. Sono state le banche di Wall Street e della City a fallire clamorosamente la prova del controllo decentrato dei rischi finanziari sui mercati: sono loro che avrebbero dovuto fare per prime i compiti a casa, per riparare alle gigantesche distruzioni di valore e di fiducia sui mercati provocate dall’azzardo morale privo di vigilanza e controlli. E invece rifiutano ancora di farli, anzi: probabilmente vorrebbero non farli più. E le loro autorità – Amministrazione e Fed – continuano ad appoggiarle. Nonostante Obama lasci intendere che il secondo mandato sarà molto più severo con Wall Street a difesa di Main Street.



Come stanno le cose in Europa?

Un anno fa l’Eba ha effettuato uno “stress test” nel momento peggiore per le banche italiane, coinvolte in pieno nell’attacco speculativo al debito sovrano. E il test è avvenuto con un’applicazione discutibile, in parte discriminatoria delle regole all’interno dell’Ue: un mutuo residenziale “Italia su Italia” viene considerato dall’Eba – e da Basilea 3 – più rischioso di un derivato “Germania-su-finanza-ombra”. In ogni caso entro il 30 giugno scorso tutte le banche italiane sono riuscite a ricapitalizzare sul mercato e hanno portato il Core Tier 1 – principale parametro patrimoniale di Basilea 3 – al 9%. Intanto si è scoperto che mezzo sistema bancario spagnolo era fallito, che ha bisogno di almeno 40 miliardi di aiuti pubblici dall’Europa: l’Eba non se n’era praticamente accorta. Invece, nel dicembre 2011 ha ordinato a UniCredit di rifornirsi di 7,5 miliardi di capitali freschi. A fine gennaio c’erano già.

Però le banche italiane hanno potuto contare sull’aiuto della Bce…

E’ vero che le offerte di liquidità triennale all’1% da parte della Banca centrale europea hanno sorretto il sistema italiano. Ma il presidente Mario Draghi ha dovuto prendere atto della spirale viziosa che l’attacco speculativo dei mercati stava provocando in Italia: in parte anche con l’iper-liquidità che soprattutto la Fed ha garantito a Wall Street. I “quantitative ease” a ripetizione hanno avuto il pretesto di favorire lo stimolo al Pil Usa e di tenere in sicurezza il sistema bancario. In pratica, hanno consentito agli stessi operatori che avevano fatto crollare i mercati di continuare a speculare in finanza strutturata: come ha dimostrato l’ennesimo buco da 4 miliardi accusato da JPMorgan. Le aste Ltro (e ora gli scudi “antispread” Otm) appaiono comunque strumenti molto più strutturati sul piano tecnico e politico rispetto agli enormi salvataggi “a pioggia” del 2008-2009 in Usa o Gran Bretagna, da centinaia di miliardi di dollari.

 

Il sistema bancario italiano è comunque ai minimi di immagine e reputazione nel mercato domestico.

 

Sì, e la “questione bancaria” rischia di diventare un feticcio della campagna elettorale: il grillismo è nato nelle piazze del “risparmio tradito” da Cirio, da Parmalat, dai bond argentini. Oggi, però, il vero nodo è il credito razionato, principale dinamica causa-effetto della grave recessione italiana e dimostrazione concreta dei difetti “prociclici” di Basilea 3. E non possiamo dimenticare che sulla nuova “architettura di vigilanza microprudenziale” una delle firme più importanti è proprio quella di Draghi: prima governatore della Banca d’Italia, poi alla guida della Bce. Un banchiere centrale di mercato, apprezzato negli Usa e al Fmi, ma “promosso” anche dall’Ue germanocentrica per la duttilità nel trovare punti di mediazione fra finanza bancaria e di mercato, fra tradizione creditizia europea e anglosassone, anche nei sistemi di supervisione.

 

Draghi adesso ha in mente l’Unione bancaria.

 

L’Unione bancaria (che si basa comunque su Basilea 3) è una sua idea per rendere accettabili alla Germania i nuovi scudi “salva-stati e salva-euro”. Ecco: lo sviluppo l’Unione bancaria, che dovrebbe partire all’inizio del 2013, ma di fatto prenderà le mosse nel 2014, potrebbe essere associato al rinvio Usa su Basilea 3 per aprire un “anno bianco” di revisione complessiva delle regole bancarie globali fra Ue e America. Sul piano tecnico Draghi può farcela, ma prima ancora ha il dovere di impegnarcisi: la cancellazione di Basilea 3 sarebbe anche una sua sconfessione. Mentre la trasformazione di Basilea 3 in strumento di ristrutturazione dell’Europa è un fatto politico: chi non riesce – o non vuole – vederlo, come minimo è miope. O preferisce mettere la testa sotto la sabbia.

 

L’Abi è appoggiata da Confindustria nella polemica su Basilea 3.

Appunto: Basilea 3 non è un problema tecnico da addetti ai lavori. E’ un grande problema-Paese sul quale l’intero sistema deve dare risposte adeguate a cominciare dalle istituzioni.

 

Vuole dire che su Basilea 3 il governo dovrebbe farsi sentire di più a Bruxelles?

 

Finora certamente non lo ha fatto, scontando peraltro una situazione di oggettiva debolezza politica. Nell’ultimo anno gli italiani hanno fatto durissimi compiti a casa in termini fiscali per soddisfare parametri europei di finanza pubblica. Li ha imposti il governo Monti, facendosi tramite del pressing dei mercati, dell’Ue, del Fmi, della Bce: e accettando di trasmettere recessione al Paese: si sperava inizialmente breve e pilotabile. Ma qualsiasi esecutivo non può mai sottrarsi alla responsabilità di tutelare gli interessi del Paese. E in campo bancario gli interessi dell’intera Azienda-Paese sono gravemente a rischio. Se Monti desidera far evolvere correttamente il suo profilo da tecnico a politico, se davvero può spendere prestigio e autorevolezza in Europa e negli Stati Uniti, questo è il tavolo su cui battere un colpo.