Appare doveroso sostenere la richiesta dell’Associazione bancaria italiana (Abi) e di quella europea che l’Eurozona non adotti i requisiti “Basilea 3” fino a che le banche americane non faranno le stesse cose. Lo standard “Basilea” – caratterizzato da fasi progressive denominate 1, 2, 3, ecc. – richiede a un istituto bancario requisiti prudenziali sempre più stringenti: per esempio, più capitale impiegato per coperture dei rischi, criteri più selettivi per l’erogazione del credito, ecc.



Poiché il ciclo del capitale finanziario è globale è ovvio che se in un’area regionale le banche sono sottoposte a regole che ne riducono la competitività ciò provoca loro un danno a vantaggio di altre. Tale danno, poi, si ripercuote a valle dell’attività di intermediazione finanziaria: costo del credito maggiore per i clienti, meno capitale per impieghi perché troppo resta congelato nella riserva, esclusione di intere categorie e di imprese dal credito perché non hanno un sufficiente merito di credito in relazione ai criteri sempre più restrittivi. Inoltre, c’è un danno, pesantissimo, a monte: il valore in Borsa di una banca che può fare meno operazioni di credito sarà minore di una regolata in modo meno pesante.



Uno potrebbe dire che le regole più stringenti in realtà aumentano la competitività delle banche perché ne riducono la rischiosità. Ma ciò non è del tutto vero nel contesto regolativo corrente. Per esempio, in un seminario di studi nella materia presso il Fmi e la Banca mondiale, nel giugno scorso, imparai dagli stessi tecnici che producono – e sono custodi – delle regole finanziarie internazionali che il rispetto dello standard Basilea inferiore al livello 3 è più che accettabile al momento.

Infatti, l’autorità regolatrice americana non ha esitato a concedere alle banche statunitensi più tempo per aderire a requisiti di Basilea 3. Non sembra che l’America sia un luogo senza regole, la sua industria finanziaria, pur colpevole nel passato di disordini gravi, è ora ordinata e allo stesso tempo produttiva. E in America non c’è alcuna restrizione del credito, leva fondamentale per la ripresa economica che lì è in atto.



In sintesi, l’adesione agli standard internazionali di prudenza finanziaria va calibrata con la realtà del mercato, ovviamente riducendo i rischi, ma non con un’ossessione idealistica e scollegata dalla realtà come, invece, si vede in Europa.

Internamente all’Eurozona, poi, abbiamo già subito in Italia un danno dall’applicazione da parte dell’Eba (Autorità bancaria europea) di standard non calibrati con la realtà delle situazioni, eccessivi. Infatti, sono personalmente a favore di una concentrazione non solo della vigilanza, ma anche della responsabilità regolativa di fondo, presso la Bce che – per lo meno sotto la gestione Draghi – mostra un buon equilibrio tra prudenza e realismo. 

Il punto: se vogliamo avere un credito a costi ragionevoli e non strozzato da regole irrealistiche dobbiamo cominciare a capire come influenzare la regolazione internazionale e le applicazioni nell’Eurozona. Su questo stampa e popolazione mostrano non solo ritardo, ma anche posizioni irrealistiche autolesioniste.

Per esempio, c’è ampio consenso per la Tobin Tax sulle transazioni finanziarie che danneggerà la Borsa italiana e restringerà il credito a famiglie e imprese: un suicidio. Bisogna capire che la finanza è il sangue che irrora il corpo dell’economia e che si deve imparare a prendere posizioni che non ne pregiudichino il flusso. Quindi appoggiare le nostre banche contro regolazioni sbagliate è un nostro interesse primario, così come quello di smetterla con fesserie demonizzanti contro il sistema finanziario. 

 

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