Ora sono le agenzie di rating a essere messe sotto pressione. L’Europa ha deciso di obbligarle a vincoli volti a limitarne i danni. Martedì è stato raggiunto un accordo tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione per imporre un tetto di tre giudizi l’anno sui debiti sovrani, l’obbligo di presentarli il venerdì, a mercati chiusi, e una serie di norme che dovrebbero impedire ai loro Cda di essere espressione di più interessi. Abbiamo chiesto a Sergio Bianchi, professore di Metodi Matematici dell’Economia presso l’Università degli Studi di Cassino, quali prospettive si prefigurano dopo l’intesa raggiunta.
Cosa ne pensa dell’accordo?
Le agenzie di rating che hanno sede oltreoceano non sono soggette ai vincoli europei. Difficile, quindi, che le norme che deriveranno dall’accordo potranno avere efficacia. Si tratta dello stesso problema emerso quando si stabilì, dal 1 novembre 2012, il divieto di negoziare Cds “nudi”. Una legge valida nei confronti degli operatori che hanno la sede legale in Europa. Tuttavia, se la sede della maggior parte di essi è altrove, una manovra del genere non sortirà alcun effetto.
Posto che esista una qualche forma di potere impositivo da parte nell’Europa nei confronti delle agenzie, sarebbe utile stabilire un massimo di tre giudizi l’anno?
Una norma del genere sarebbe improntata a un approccio normativo, più che agli effettivi andamenti del mercato. Il peggioramento o il miglioramento delle sue condizioni non possono di certo allinearsi con l’emissione dei giudizi, né essere messi preventivamente in conto. Il limite dei tre rating annuali potrebbe funzionare nel caso di sistemi dotati di particolare inerzia. Tuttavia, a oggi, è difficile stabilire quali siano quelli dotati di questa caratteristica. Tradizionalmente si reputavano tali gli Stati. Tuttavia, la loro evoluzione e l’evoluzione del loro debito è decisamente più dinamica rispetto al passato.
Cosa ne pensa, invece, dell’obbligo di emettere giudizi al venerdì, quando i mercati sono chiusi?
Si tratta di una norma che dovrebbe fare parte del costume delle agenzie. Che le cose non stiano così dipende dalle degenerazioni cui il sistema è ormai andato incontro.
Si intende, inoltre, introdurre la possibilità, per chi si senta danneggiato da gravi negligenze, di citare in giudizio le agenzie.
Di fatto, è già così. A meno che non ci siano degli accordi internazionali che rendano cogenti queste norme, esse lasciano il tempo che trovano.
Nell’accordo, è contenuta anche l’intenzione di eliminare i conflitti d’interesse
Non credo che una norma del genere vedrà mai la luce. Dietro le agenzia ci sono interessi troppo rilevanti. Si pensi alle persone che siedono nei loro Cda delle società di rating e, contemporaneamente, in quelli dei grandi fondi d’investimento e delle multinazionali.
Salta, d’altro canto, per ora, il progetto di istituire un’agenzia di rating europea.
Sarebbe la strada più corretta per correggere il problema dei giudizi espressi al di fuori della realtà; un’agenzia espressione degli Stati membri e in grado di fornire giudizi univoci sarebbe altamente auspicabile. Contribuirebbe all’unità e all’integrazione europea e rappresenterebbe una barriera contro la speculazione. Tuttavia, non la vedo al momento praticabile. Presupporrebbe una linea d’intenti condivisa, e un accordo sui parametri economici che, attualmente, l’Europa non è in grado di esprimere. Sulle questioni fondamentali, infatti, si è sempre mostrata divisa.
Com’è possibile, in ogni caso, che le agenzie, nonostante errori clamorosi come il conferimento della tripla A a società come Lehman Brothers, Cirio e Parmalat, continuino a disporre di un così elevato potere di condizionamento dei mercati?
L’impressione è che ultimamente il peso del loro giudizio si stia riducendo, anche se non nella misura che, considerando gli errori del passato, ci saremmo aspettati.
(Paolo Nessi)