Bersani e Finmeccanica. La dichiarazione più concreta del lungo faccia a faccia fra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi l’ha fatta il segretario del Pd quando si è domandato se, di questi tempi, con il sistema industriale italiano al tappeto e a rischio smantellamento, sia proprio sensato procedere nelle trattative per vendere ai tedeschi della Siemens l’Ansaldo energia posseduta da Finmeccanica. È una domanda retorica: significa che, se andrà a Palazzo Chigi, Bersani si opporrà a questa operazione. Peccato che dal pubblico non sia arrivato un applauso per queste parole di grande saggezza e che contengono, finalmente, una vaga idea di politica industriale. L’Italia, anche a fronte di un debito pubblico record che obbliga a far cassa, non può continuare a disfarsi, passando la mano agli stranieri, di tutto il suo apparato produttivo, specie di quello con un significativo contenuto tecnologico, come nel caso in questione. La stanza dei bottoni delle aziende cosiddette strategiche deve restare in Italia. È in queste che il Paese e lo Stato azionista devono puntare, piuttosto che disperdere risorse per tenere in piedi realtà irrecuperabili come il Sulcis.
Le banche incassano. Ancora pioggia di soldi per le banche europee. Quelle spagnole stanno per incassare altri 37 miliardi dall’Europa; il Monte dei Paschi di Siena ha appena deliberato l’emissione di Monti bond per 3,9 miliardi. Basteranno finalmente a rimettere in marcia lo sgangherato sistema in modo che possa tornare a finanziare le imprese? Non è detto. Secondo un’analisi del broker Cheuvreux, molto stimato nel ramo, sono pochi gli istituti europei ad avere un futuro roseo. E tra questi un solo italiano: IntesaSanpaolo.
Ha ragione Crozza. In quanto a previsioni economiche e alla loro affidabilità, ha ragione il comico genovese quando dice che nessun economista ci azzecca. I soloni a più riprese hanno sbagliato in maniera clamorosa, sparando cifre e percentuali a caso. Insomma, in realtà, nessuno ne sa niente, nessuno sa decifrare questa crisi che ormai dura da quattro anni abbondanti e che, almeno in Europa e in particolare in Italia, non dà segni di volersi arrendere. Lo vediamo anche in queste settimane, in questi giorni: è un susseguirsi di indicazioni contrastanti. Qualcuno dice che c’è uno spiraglio di luce, subito smentito da un altro che pronostica un futuro simile a quello annunciato dai Maya. Utilità di tutto questo speculare a vanvera sull’avvenire? Nessuna. Il solo effetto che producono è di seminare il panico fra le persone e innervosire i mercati.
Opposizione. Vari lettori scrivono a giganomics.it che il numero dell’Opposizione non funziona più. Chi vi si è registrato per non ricevere le telefonate di varie aziende e società di marketing che cercano di vendere di tutto, da qualche tempo è di nuovo in balia dei call center. Qualcosa ha smesso di funzionare in questo filtro, o si è trovato il modo di aggirarlo. Interessa all’Authority per la privacy?
Marchionne non è solo. La Fnac, la catena di grandi magazzini dove si possono comprare libri, computer, tv, telefonini, programmi di software, ecc. ha fatto l’ultimo passo formale per andarsene. Il gruppo francese, fondato nel 1956 da due militanti trotzkisti, è ora posseduto dalla Ppr di François-Henry Pianault, una multinazionale della moda che nel 2000 è sbarcata in Italia aprendo vari punti di vendita. Ma ora se ne va, cede al fondo di private equity Orlando. Perché l’abbandono? Una nota della società risponde così: “Fin dal nostro arrivo non abbiamo mai trovato le condizioni operative per affermarci in questo Paese”. Sono più o meno le stesso cose che dice l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, per spiegare i suoi traslochi verso Olanda e Stati Uniti.
Uno bravo alla Rai. Le nomine alla Rai, come era largamente atteso, hanno seguito il copione tradizionale. Torna in mente una battuta di Ettore Bernabei, democristiano di ferro, dal 1960 al 1974 direttore generale della tv pubblica: “Oggi ho assunto cinque giornalisti: un democristiano, un socialista, un comunista e un repubblicano. Più uno bravo”.
Sconsigli per gli acquisti. L’ultima creatura di casa Apple, l’iPhone 5, è certamente uno straordinario prodotto di tecnologia e di design, oltre che uno status symbol oggetto del desiderio di milioni di persone. Ed è anche un grande affare (per il venditore) visto che secondo alcuni economisti il suo lancio sul mercato ha fatto crescere dello 0,5% il Pil americano. Ma ha un problema serio: dopo poche ore di uso si scarica. Com’è possibile che una simile meraviglia delle tlc che mette in tasca a ognuno le sterminate praterie dei social network, abbia una dipendenza così ansiosa da uno spinotto? L’iPhone è concepito solo per navigatori stanziali sempre a portata di una qualche fonte di alimentazione? Come mai ha bisogno di tre pit stop al giorno? Il produttore deve migliorarlo; ai consumatori conviene riflettere bene, e informarsi, prima di comprarlo.