Una frase del premier, peraltro smentita, è stata sufficiente per evocare scenari catastrofici. Dopo che Monti ha avanzato l’ipotesi di insostenibilità del nostro sistema sanitario, in molti hanno iniziato a temere la privazione, in futuro, di quelle tutele sin qui ritenute inviolabili. Del resto, i ricercatori di Ambrosetti, nella pubblicazione Meridiano Sanità, hanno rivelato che, nel 2050, la spesa sanitaria sarà più che raddoppiata, e che raggiungerà i 260 miliardi di euro. Abbiamo chiesto a Maurizio Sacconi, senatore del Pdl ed ex ministro del Welfare, come stanno le cose.



Le previsioni di Monti potrebbero rivelarsi esatte?

Credo che Monti abbia fatto bene a paventare l’insostenibilità del servizio sanitario. Alla luce non solo dell’invecchiamento della popolazione, ma anche delle spese legate all’aumento delle capacità tecnologiche.

Nel 2050 la spesa sanitaria sarà più che raddoppiata. Le risulta?



Non è l’unica proiezione, ad oggi, effettuata. Diciamo che è utile supporre che si determinerà un enorme incremento della spesa e che quegli studi rappresentano un utilissimo elemento per correggere uno scenario futuro probabile, ma che non è ancora determinato in maniera inevitabile. Se demografia e innovazione non sono componenti comprimibili, sarà necessario lavorare su quella che dipende dalla capacità di governo, ovvero l’amministrazione della spesa.

Quindi?

Occorre ispirarsi a quelle esperienze già presenti in seno al nostro Servizio sanitario nazionale ove pratiche virtuose hanno prodotto una gestione ottimale.



Ci faccia un esempio.

L’Asl di Conegliano, dove sono nato, ha un avanzo di gestione di 12 milioni di euro.

Come ha fatto?

Ha praticato la cosiddetta presa in carico della persona, anche attraverso il fascicolo sanitario elettronico, garantendo la continuità delle prestazioni con estrema appropriatezza; ovvero, il paziente affetto da malattie croniche o da altre patologie non viene ricoverato. L’ospedale, infatti, non deve essere impegnato per le cronicità, ma esclusivamente per i bisogni acuti. Tutti gli altri devono essere soddisfatti, a costi inferiori, attraverso altre soluzioni.

Quali?

Mi riferisco, ad esempio, ad un buon livello di cure primarie, erogabile attraverso la realizzazione di reti aggregate di medici di base, in grado di fornire assistenza 24 ore; a scelte sussidiarie, profit o non profit, in favore della famiglia, idonee a trattare appropriatamente i bisogni cronici; all’integrazione tra le spesa socio-sanitaria e quella sanitaria. In Italia, oltretutto, abbiamo ancora un enorme quantità di ospedali minori, marginali e pericolosi per la salute (chi partorirebbe, ad esempio, in una struttura dove nasce un solo bambino alla settimana?), che dovrebbero essere chiusi o convertiti in altri generi di strutture, quali le residenze per gli anziani. Occorrerebbe, inoltre, applicare seriamente i principi del federalismo fiscale.

Ci spieghi.

Il federalismo è caratterizzato da tre criteri guida che, non a caso, nell’Asl di Conegliano sono perfettamente rispettati: il 5% della spesa dovrebbe essere dedicato alla prevenzione; non più del 44% alla spesa ospedaliera; il resto, ai servizi territoriali. Quando l’assetto è di questo tipo, si determinano l’equilibrio finanziario e l’elevata qualità della prestazione. Da questi macrocriteri si deducono i fabbisogni standard da applicare nella ripartizione del Fondo sanitario nazionale. L’insieme di queste misure, se tenute in considerazione nella negoziazione del fondo, potrebbe obbligare alcune regioni a responsabilizzarsi. Specialmente, rispetto alla necessità di chiudere alcune strutture che sono al di sotto di qualunque standard di efficienza e qualità accettabile. Tutti i criteri sin qui decritti, oltre che a Conegliano, sono adottati, in linea generale, e con le dovute distinzioni, dalle Regioni più virtuose quali la Lombardia. 

Balduzzi sta studiando un sistema di franchigie in base alle fasce reddituali. Cosa ne pensa?

La compartecipazione è utile per moderare e responsabilizzare i consumi, più che per aumentare in maniera significativa il gettito. Dissuade dal richiedere prestazioni inutili o ricoveri laddove non ce ne sia effettivamente bisogno. 

E dell’incentivazione al ricorso alla sanità complementare privata?

La dimensione privata collettiva è stata incoraggiata dal precedente governo Berlusconi, che istituì l’albo dei fondi sanitari privati. E’ evidente che dobbiamo sostituire larga parte della spesa pagata di tasca propria con forme assicurative, meglio ancora se assicurative collettive; mi riferisco, ad esempio, alla sviluppo della contrattazione aziendale o categoriale dedicata a forme di welfare complementare integrativa. Occorre, in tal senso, rafforzare i benefici fiscali per i versamenti legati a questi investimenti. 

 

(Paolo Nessi)