Tirez sur le pianiste si intitola un amaro film poliziesco di François Truffaut del lontano 1960, meritamente entrato nella storia del cinema e ancora oggi spesso visibile in televisione o in DVD. Il titolo è ironico: quando un gruppo di gangster non sa fare di meglio spara sul pianista, il quale, di solito, con la lotta per bande non c’entra nulla.
Quasi tutta la stampa italiana ha sparato (a salve) su Mitt Romney per la frase in cui il candidato repubblicano alla Presidenza Usa ha detto che in caso di vittoria del suo avversario, Barack Obama, gli Stati Uniti avrebbe fatto la fine dei Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). Si tratta di colpi a salve perché i giornalisti italiani non votano alle elezioni presidenziali negli Usa, dove si vendono comunque poche copie delle loro testate solamente a New York, Washington e qualche altra città. Sparano a salve anche in Italia: quando, per la prima volta nella sua storia, Il Corriere della Sera si schierò a favore di un candidato, vinse l’avversario. È bene darsi una ridimensionata.
Soprattutto, non leggono quanto scrivono gli economisti italiani. Neanche quelli che, a torto o a ragione, vengono da quotidiani e periodici apparentati al centrosinistra. Nel 1997, a p. 30 del saggio introduttivo intitolato Per l’occupazione del volume collettaneo “Disoccupazione di fine secolo – Studi e proposte per l’Europa” (Bollati Boringhieri), Pierluigi Ciocca, allora alla guida del servizio studi della Banca d’Italia (di cui sarebbe diventato vicedirettore generale prima di diventare professore di politica economica all’Università di Roma La Sapienza) scriveva a chiare lettere che una pressione fiscale e contributiva del 42% (allora, ndr) rispetto al 30% di quella degli Stati Uniti e del Giappone “costerà ulteriore disoccupazione all’Europa”, specialmente se coniugata con politiche di austerità per raggiungere la stabilità finanziaria.
Da allora, nell’eurozona la pressione fiscale si aggira mediamente sul 45% (e in Francia e Italia sta per sfiorare il 50%), mentre negli Stati Uniti, nonostante gli aumenti di tasse e imposte degli ultimi quattro anni, è scesa al 28% e il candidato repubblicano si è impegnato a portare al 20% l’aliquota marginale federale più alta per le imposte societarie e al 33% quella sui redditi degli individui (le imposte indirette e sulla casa sono competenza dei singoli Stati dell’Unione e in certi casi delle Contee). Insomma, il divario tra Usa e Europa aumenterà in termini di pressione fiscale. Con le conseguenze previste tre lustri fa da Pierluigi Ciocca (e da altri).
Il vostro chroniqueur non ha alcuna voce in capitolo sulle elezioni Usa. E, quindi, non parteggia per nessuno dei due candidati. Tuttavia, non sarebbe professionale per un economista non sottolineare che da una vittoria di Romney l’Europa avrebbe non solo il vantaggio di una politica americana di liberalizzazione degli scambi internazionali (che è mancata negli ultimi quattro anni), ma sarebbe un free rider (beneficiario collaterale) della politica Usa contro la contraffazione in Cina e contro il protezionismo russo oltre che cinese: le imprese europee esportano in Cina oltre il doppio di quelle americane e in Russia ben otto volte quelle degli Stati Uniti. Quindi potrebbero trarre grandi vantaggi in questi due vasti mercati.
Inoltre, la riduzione del carico fiscale negli Usa sarebbe utile all’Europa almeno sotto due profili. Se, in senso keynesiano, accelera la ripresa americana, l’Ue avrebbe un traino a cui agganciare la propria. Se non ha effetti keynesiani, ma anzi produce principalmente inflazione interna negli Stati Uniti, da un lato, il “made in Europe” diventerebbe più competitivo nel mercato americano e, da un altro, gli europei avrebbero uno stimolo ulteriore a chiedere a Governi e Parlamenti di farla finita con l’oppressione fiscale.