Tatò contro Tatò. I maligni dicono che Franco Tatò abbia avuto la poltrona di presidente della Parmalat grazie alla sua affascinante moglie, Sonia Raule, amica della famiglia Besnier, proprietaria del colosso francese Lactalis che più di un anno fa ha dato la scalata al gruppo di Collecchio con un’operazione che ha attirato l’attenzione della Procura della Repubblica di Milano per sospetti di insider trading. Vero o falso che sia questo gossip è poco importante; quello che conta è che Tatò dovrà presentarsi nei prossimi giorni in Tribunale per rispondere alle domande di Roberto Guiotto, un esperto incaricato dalla magistratura di chiarire alcuni punti della gestione Lactalis a Parma. In particolare verrà esaminato il dossier americano. Si tratta di questo: Parmalat veniva chiamata anche il gioiellino perché il suo precedente amministratore delegato, Enrico Bondi, l’aveva riempita di liquidità vincendo una dopo l’altra le cause contro il sistema bancario accusato di aver in qualche modo affiancato Calisto Tanzi nel suo crac del 2003. Quella liquidità, circa 1,4 miliardi di euro, è stata subito notata dai francesi che hanno pensato di andarsela a prendere scalando appunto Parmalat. L’operazione è avvenuta con l’appoggio delle banche e, come detto, ha dato origine a un’indagine ancora in corso.



Ma non è questo il punto che riguarda Tatò, essendo lui arrivato alla presidenza a cose fatte, quando ormai i francesi erano diventati padroni a Collecchio. Quello che il Tribunale di Parma e il suo esperto devono appurare è se sia stato corretto il modo in cui Lactalis e i vertici Parmalat hanno gestito la liquidità messa da parte da Bondi. Perché gran parte è stata usata per comprare la controllata che Lactalis ha da tempo negli Stati Uniti. Quindi Parmalat è diventata proprietaria di Lactalis Usa dopo aver staccato un congruo assegno di 957 milioni alla casamadre Lactalis francese che così è riuscita a mettere le mani sul gruzzolo e a ripagarsi di quanto aveva speso per comprare Parmalat. Oppure, detta ancora più prosaicamente, Lactalis ha usato i soldi di Parmalat per comprarsi Parmalat. Geniale vero? Sono i miracoli della finanza. Solo che la magistratura è laicamente scettica di fronte ai miracoli e ha applicato l’articolo 2409 del Codice Civile che prevede un’ispezione “se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione del loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possano arrecare danno alle società”.



Tatò è un presidente senza poteri, messo lì dai francesi solo per avere ai vertici un manager italiano stimato da tutti e far dimenticare così un po’ della tracotanza che ha caratterizzato il loro modo di agire in tutta questa vicenda. È chiaro che non è stato lui a decidere l’operazione americana, ma sono stati gli operativi francesi. Però lui ci ha messo il suo nome, il suo marchio di qualità. È umano che il prestigio di una presidenza, in più se unito a interessanti emolumenti, piaccia a tutti e comprensibilmente anche a Tatò. Ma valeva la pena compromettere il patrimonio di credibilità e di rispetto accumulato in anni di carriera manageriale per mettersi con un gruppo francese che fa simili operazioni?



Tutti a casa. L’uragano Sandy è stato più forte di tutti e alla fine ha costretto gli organizzatori ad annullare la maratona di Manhattan che avrebbe dovuto corrersi ieri. Ci sono stati, per la verità, molti tentennamenti prima di arrivare alla cancellazione. Il sindaco di New York, Michael Bloomberg, molto attento al business, l’aveva autorizzata: “The show must go on”, come si usa dire. Ma era stato sommerso dalle critiche: “La città è in  lutto – avevano detto in tanti -. Come si può far festa?”. E così il sindaco aveva fatto marcia indietro, provocando l’ira di migliaia di appassionati che da anni partecipano alla kermesse. Fra questi vari italiani compresi alcuni componenti della business community che si cimentano nella leggendaria maratona che si snoda fra i ponti e le strade di Manhattan. Tutti a casa a cominciare da Maurizio Dallocchio che sarebbe stato alla sua diciottesima maratona per la quale ogni anno si allena correndo attorno al perimetro dell’aeroporto di Linate. Per questa volta, tutta fatica sprecata.

Cinque anni. La Cancelliera Angela Merkel non ha uno di quei caratteri che trasmettono ottimismo fra chi li circonda. Sabato, per esempio, ha invitato tutti a non farsi illusioni di fronte ai timidissimi segnali di ripresa che, di tanto in tanto, qualcuno dei suoi colleghi di governo europei pensa di scorgere.  “La crisi sarà ancora lunga – ha detto raggelando gli ottimisti – e durerà altri cinque anni. Almeno”. Non si sa su che cosa abbia basato questa sortita subito definita dagli ascoltatori “da Cassandra”, però un dato diffuso accidentalmente poche ore dopo la sua dichiarazione, sembra fatto apposta per darle ragione: la Rbs (Royal bank of Scotland) uno degli istituti di credito che più hanno sofferto la grande crisi finanziaria apertasi nel 2008, tanto da essere stato salvato dallo Stato che tuttora la controlla, ha chiuso l’ultimo trimestre con un rosso pesantissimo, 1,38 miliardi di sterline. Brutto segnale per il sistema bancario: nemmeno le trasfusioni del governo (gentilmente pagate dai sudditi di sua maestà britannica) sono riuscite a rianimare questo colosso che continua ad accumulare perdite. Per salvarlo basteranno altri cinque anni di soccorso pubblico?

 

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