Nichi Vendola ha un mantra: Francois Hollande e il suo modello di “altro mondo possibile” in campo economico, da schierare contro il rigorismo di Merkel e Monti. Un qualcosa che mi pare completamente astratto dalla realtà. La quale, ahimè per i nostri cuginetti francesi, è decisamente poco confortante. E Hollande lo sa, visto che la sua credibilità politica e il grado di fiducia di cui gode tra gli elettori sono letteralmente crollati al 36%, un tonfo la cui rapidità ha pochi precedenti nella recente storia politica europea.



E a certificare lo stato tutt’altro che di grazia della Francia e del suo presidente, ci ha pensato un altro uomo storico della sinistra europea, un esponente di punta della cosiddetta Terza Via, l’ex Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. E cosa ha detto il consulente di Gazprom a Parigi? «Le promesse elettorali del presidente francese stanno per schiantarsi contro i muri della realtà economica». Perché? Perché la non riforma del sistema pensionistico, per Schroeder, «semplicemente non può essere finanziata». Quindi, conferma l’ex Cancelliere, «ancora due o tre errori grossolani del genere e i nostri amici francesi si renderanno conto della realtà». Insomma, l’uomo che per far recuperare competitività alla Germania attraverso la riforma Hartz ci ha rimesso la ghirba politica, di fatto sta scrivendo il de profundis per il governo socialista francese a pochi mesi dal suo insediamento.



Ora, togliamo un po’ di mitologia anche attorno alla riforma Hartz, della quale anch’io mi innamorai perdutamente ai tempi, perso com’ero nella retorica blairiana e nell’alone di riformismo che attorniava l’avventura di “The boy” al 10 di Downing Street. Le leggi che nacquero da quella riforma, infatti, relative ad assunzioni e licenziamenti, furono tra le ultime a nascere e quelle di più piccolo impatto all’interno dell’Osce. Ciò che mise il turbo all’economia tedesca fu la svalutazione interna, con una continua compressione dei salari che conobbe nella riforma Hartz la proverbiale ciliegina sulla torta. Detto questo, funzionò eccome, dopodiché ci pensò l’euro e i suoi tassi reali negativi a mettere il turbo all’export e ritrasformare la Germania nella locomotiva d’Europa (lasciate stare gli effetti collaterali tipo la bolla immobiliare che ha quasi ucciso l’Irlanda…).



E nonostante i giornali italiani negli ultimi giorni abbiano dato ampia rilevanza, come è giusto, alla sparata di Mitt Romney riguardo a un futuro italiano o spagnolo per gli Usa in caso di rielezione di Obama, i tedeschi oggi come oggi sono terrorizzati da quanto sta accadendo in Francia, tanto che il conservatore Le Figaro ha dedicato un servizio di due pagine al malcontento teutonico verso la direzione strategica intrapresa dalla politica francese. Di più, per la Bild Zeitung, «la Francia sta vivendo come “Alice nel paese delle meraviglie” e potrebbe diventare la nuova Grecia».

A confermarlo il gruppo di pressione pro-business, una lobby in piena regola, Medef, secondo cui «il Paese si sta avvicinando a un uragano. Mettere extra-tasse sul business e portare l’aliquota sui capital gains al massimo europeo del 62% (21% in Spagna, 26% in Germania e 28% in Gran Bretagna, ndr) rappresentano due errori disastrosi». Per il leader del Medef, Laurence Parisot, «la situazione è molto seria. Alcuni settori sono in uno stato di quasi-panico, la quantità di fallimenti e la loro velocità sono accelerati durante l’estate. Stiamo registrando una generale perdita di fiducia da parte degli investitori, tra cui grandi investitori stranieri. Sta diventando davvero drammatico. A mio avviso Hollande deve ancora capire l’estrema gravità della crisi, oppure è vittima di un enorme fraintendimento, visto che ha abbracciato politiche di austerity ma senza combinarle con le riforme. Il mix peggiore possibile».

La politica fiscale del governo conoscerà una stretta pari al 2% del Pil il prossimo anno, due terzi del quale giungerà da un innalzamento delle tasse: un errore madornale, come insegnano cinquant’anni di congiunture in tutto il mondo. Lo Stato, inteso come spesa pubblica, ingloba il 55% del Pil francese, un livello scandinavo: peccato non in un regime di libero mercato e riforme come nel Nord Europa. La Francia sta solo guadagnando tempo, ma il suo destino, senza un drastico dimagrimento e un programma di riforme, è segnato e nella City si parla di entrata in recessione già entro la fine dell’anno – una sorta di perma-slump -, con un ulteriore aggravamento della situazione immobiliare, in preda a una bolla che giorno dopo giorno si espande e fa sudare freddo le già non sanissime banche d’Oltralpe (sul tema vi rimando al mio articolo dello scorso maggio).

Insomma, a fronte di questa situazione cosa fa Hollande? Il più grande shock fiscale di sempre, ovvero un killer della crescita, proprio lui che aveva basato la sua campagna sullo slogan “Crescita contro austerità”. Hollande vuole ridurre il deficit al 3% l’anno prossimo, dal 4,5% attuale, ufficialmente «per non essere ostaggio dei mercati», ma una riduzione del deficit senza riforme non serve a nulla se non si fa dimagrire l’incidenza della spesa pubblica sul Pil e una ratio debito/Pil che ormai sta flirtando con quota 90%. Come si può sperare che i mercati apprezzino una manovra per il prossimo anno basata sull’aumento delle tasse per 24 miliardi di euro, a fronte di tagli per soli 10 miliardi di euro? Così facendo, la pressione fiscale totale salirà dal 44,9% al 46,3%, mentre la spesa pubblica sarà stabilizzata – sì, hanno usato questo termine – al 56,3% del Pil. Follia, pura follia. Pensate che l’aumento delle entrare fiscali sulla corporate tax sarà del 30% e raggiungerà quota 52 miliardi, per la gran parte frutto della riduzione delle deduzioni per le grandi aziende. Possibile che una politica simile possa aiutare un Paese con la disoccupazione al 10% e una totale mancanza di competitività del mondo del lavoro?

Gli stipendi degli statali, poi, sono congelati, non tagliati o ridotti. Anche il budget del ministero della Cultura, importantissimo ma non certo centrale in questo momento, è calato solo di 110 milioni di euro, da 2,54 miliardi a 2,43 miliardi. Mi direte voi, però sono stati tagliati 12.300 posti di lavoro nei vari dipartimenti ministeriali! Vero, peccato che ne verranno creati altri 11mila nel settore pubblico, che andranno ad aggiungersi alle 6.800 assunzioni nel pubblico fatte questa estate! La politica di congelamento nel pubblico impiego, ovvero il non rimpiazzare un dipendente che va in pensione con un nuovo assunto, adottata da Sarkozy, è stata semplicemente soppressa.

E veniamo poi alle previsioni di crescita per il prossimo anno: siamo passati dall’1,2%, salvo poi scendere allo 0,8%, ma gli economisti concordano per un misero +0,3%. Una differenza non da poco, visto che un 0,1% equivale a 1 miliardo di euro! Ora spiegatemi come sia possibile sperare in una crescita non digitale con una politica di shock fiscale come quella scelta da Hollande? Mah, la cosa ridicola è che per gli anni a seguire – ovvero dopo il 2013 – il governo prevede una crescita media annua del 2%!

Sarà dura, visto che qualcosa ha cominciato a crepitare pesantemente ieri sul fronte degli spread sovrani italiani e spagnoli sulla scadenza del decennale. Il nostro Btp ha rivisto quota 5% di rendimento, i Bonos hanno ricominciato a flirtare in area 6,5% e il perché, questa volta, è davvero grave e potrebbe innescare un terremoto sui mercati finanziari se mal gestito. Stando alla denuncia della Die Welt am Sonntag, infatti, le banche spagnole hanno ottenuto denaro dalla Bce al tasso preferenziale dello 0,5% anche se il collaterale che hanno fornito a garanzia era con rating di credito tale da dover richiedere un tasso del 5,5%. Insomma, citando fonti interne all’Eurotower, scopriamo che la Bce avrebbe di fatto violato le sue stesse regole e ora sta investigando. Ma c’è di peggio, forse. Degli 80 miliardi di euro circa di titoli posti a garanzia, una parte era completamente ineligibile a collaterale e a garantire il trattamento di favore sarebbe stato un titolo a 18 mesi erroneamente classificato con rating A, mentre era di fatto B sia per Moody’s che per Fitch che per Standard&Poor’s.

Per il giornale tedesco, «il solo fatto che la Bce maneggi certe obbligazioni spagnole pone seri dubbi sulla gestione stessa del rischio da parte della Banca centrale… Visto che quei titoli posti a garanzia rispettano i criteri di eligibilità solo in parte». Ma come è stato possibile che accadesse una cosa simile? Ieri a dare una spiegazione ci ha pensato non la Bce, ma la Banca centrale spagnola, la quale ha immediatamente reso noto che a suo modo di vedere la Banca centrale europea ha applicato correttamente le regole sul collaterale. E sapete perché? Perché la misconosciuta agenzia di rating canadese Dbrs valuta ancora i titoli spagnoli A e il suo parere sul merito di credito deve essere tenuto da conto in ambito di valutazione di eligibilità presso la Bce.

Il problema, quindi, è che il destino delle banche spagnole è in mano a una minuscola agenzia di rating canadese che non ha alcun interesse a salvare la Spagna (ma anche ad affondarla, in effetti) e che se un domani dovesse operare un downgrade, magari per un salvataggio totale o parziale del Paese, potrebbe innescare un domino spaventoso. Già, perché se quei bonds già sospetti dovessero essere ulteriormente abbassati di rating, le banche che li hanno posti a garanzia presso la Bce dovrebbe produrre nuovo collaterale per qualcosa come 16,6 miliardi di euro. Ora, capite che la situazione è a dir poco delicata, visto che più di un hedge fund potrebbe essere tentato di ammassare posizioni short sul debito spagnolo e poi, non appena una delle tre sorelle del rating dovesse fare un fiato negativo sulla Spagna, chiamare la Dbrs commissionandole un report sullo stato finanziario sul breve termine di Madrid.

Non fatevi illusioni, le stringenti regole imposte dall’Ue sul naked short o sullo short di titoli sovrani o cds, sono tranquillamente bypassabili scommettendo al ribasso sui titoli bancari di quei Paesi: che, nel caso della Spagna, sono proprio i potenziali bersagli, visto che rischiano la ghirba se la Bce dovrà giocoforza ammettere l’errore nella concessione del tasso d’interesse e chiedere nuovo collaterale. Un nuovo bando sulle vendite allo scoperto di titoli bancari è all’orizzonte? A mio avviso sì. Ma anche in quel caso, si può operare sulle opzioni.

Insomma, stavolta si rischia davvero. E la Germania, attraverso i suoi media, sembra tutt’altro che preoccupata per quanto potrà succedere alla Spagna e, di riflesso, all’Italia in caso di cortocircuito sul collaterale. Anzi, indebolire Madrid per colpire Roma sembra una tattica molto precisa. Siamo alle battute finali del domino europeo, anche se la grande stampa italiana non sembra accorgersene.

 

P.S.: Della serie, a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca quasi sempre. Sapete chi è il capo del dipartimento rating sovrani della Dbrs? Si chiama Fergus McCormick. E sapete dove ha lavorato nel biennio 2004-2005 come analista per il reddito fisso per l’America Latina, ultimo lavoro in una banca prima di approdare alla Dbrs? Alla spagnola Bbva.