Salvate il soldato Nagel. Giganomics si è già occupato di recente di Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, per dire che era riuscito a salvare la pelle malgrado negli ultimi tempi fosse stato costretto a navigare in mari pericolosi. Mari che prendono il nome del gruppo Ligresti, indebitato oltre ogni limiti di ragionevolezza con il sistema bancario in generale e con Mediobanca in particolare, tanto che Nagel voleva-doveva assolutamente salvarlo se non voleva veder coinvolte nella rovina del costruttore siciliano, la sua banca e la sua stessa carriera. Poi, avendo presentato dei conti più che accettabili, ha ammansito gli azionisti che chiedevano la sua testa (il denaro sonante è sempre convincente) riuscendo a restare saldo sulla plancia di comando. Ma ora ci sono messe di mezzo le intercettazioni ordinate a proposito dell’inchiesta Finmeccanica e dei fondi neri che questa avrebbe pagato. Che cosa c’entra Nagel? C’entra per il fatto che il suo nome viene fatto più volte a proposito di questioni non edificanti per un banchiere d’affari. Per esempio, è stata colto e registrato un colloquio nel quale si dice che fu proprio Nagel a informare chi di dovere di una consulenza fasulla (marchetta) pagata all’ex moglie americana di Vittorio Grilli, ora ministro del Tesoro, allora direttore generale del ministero. Il punto non è se Nagel abbia avuto delle responsabilità dirette in questa piccola e squallida storia, ma piuttosto che il suo nome circolasse tranquillamente in un giro di persone che facevano cose non raccomandabili. Insomma, frequentava una cricca, per dirla semplice semplice, che non ci azzeccava granché con i salotti della finanza che la comune vulgata attribuisce a Nagel come suo ambiente naturale.



E questo per il giovane ad sarà difficile da spiegare ai suoi azionisti. I quali, intanto, procedono su grandi progetti finanziari che riguardano molto da vicino la sua Mediobanca, che però proprio per la debolezza del suo capo operativo, vi figura solo come oggetto, e mai come soggetto attivo, avendo perso quel ruolo da protagonista che storicamente ha sempre avuto nella finanza italiana. Succede infatti che i vertici di Unicredit e Intesa discutono, sui giornali e in dibattiti pubblici, l’ipotesi di una fusione per creare un campione bancario nazionale non scalabile da capitali stranieri. Forse è solo un gioco intellettuale; forse un ballon d’essai; oppure l’inizio di una grande manovra. Di qualunque cosa si tratti, riguarda direttamente Mediobanca e le sue controllate, a partire da Generali. Ma la voce di piazzetta Cuccia non si è ancora fatta sentire. Forse quelle intercettazioni fanno troppo rumore e coprono tutto.



Riecco Carletto. Come diceva Carlo Emilio Gadda in “Er pasticciaccio brutto de via Merulana” riferendosi a Benito Mussolini, “pure lui volle dire la sua, e più forte di tutti”. Il “lui” questa volta non è il duce, ma Carlo De Benedetti, che non ha resistito ed è entrato a piedi uniti nel dibattito sui 19 licenziati della Fiat di Pomigliano facendo più chiasso di tutti, distribuendo consigli e male parole un po’ a destra e a manca. Questo signore, ormai un po’ avanti negli anni, non potrebbe rifugiarsi in quella saggezza tipica della sua età e scegliere il silenzio, piuttosto che sparare la prima cosa che viene in mente pur di recuperare un titolo sui giornali? Non ricorda come ha risolto lui, in passato, il tema degli esuberi della sua Olivetti scaricati in massa sullo Stato? Eh via, un minimo di buon gusto, Ingegnere.



Zitti tutti, parla Elsa. Il ministro Elsa Fornero non ama i giornalisti. E questo è lecito. Ieri ha specificato il suo pensiero dicendo in sostanza: basta dire una parola e quelli (i giornalisti) la trasformano in un titolo. Ma ministro, questa è l’essenza del mestiere: cercare la notizia e darle risalto. Ricorda la vecchia battuta: se un cane morde un uomo non fa notizia, mentre la fa un uomo che morde un cane? Trasferito al suo quotidiano, se lei in un convegno, per un’ora filata parla di quanto è stata brava con le sue riforme senza dire una sillaba di novità (voi politici prima o poi diventate tutti come Arnaldo Forlani, che si vantava di poter parlare per ore senza mai dire nulla), se fa questo, dunque, i giornalisti potranno dedicarle solo qualche sbadiglio. Se poi all’improvviso aggiunge che Marchionne è un poco di buono, ma anche Landini va frequentato con cautela, allora ecco che i pennaroli si svegliano. Guardi che funziona così in tutto il mondo. Se non le piace, piuttosto che invocare incontri chiusi alla stampa, lasci la carriera politica e torni a quella universitaria e alla cariche nelle ricche Fondazioni bancarie. Così potrà contribuire a finanziare la carriera di ricercatrice di sua figlia la quale – come ha tenuto a dire ai giornalisti – ha un curriculum internazionale. Ma i soldi li trova più facilmente a Torino.

 

Coraggio Befera. Nuovo colpo dell’Agenzia delle entrate diretta da Attilio Befera. Nei giorni scorsi sono stati sequestrati immobili e beni vari a diversi personaggi del giro Marzotto accusati di aver sottratto al fisco oltre 60 milioni. Il tutto legato alla vendita del marchio Valentino che, prima di essere ceduto a un fondo di private equity, sarebbe passato per le Cayman. E lì avrebbe generato la vera plusvalenza, esentasse ovviamente. Il caso non è isolato, ma assai diffuso. Se Befera e i suoi esperti danno un’occhiata a tante società del lusso, troveranno che l’abitudine di separare marchio e attività produttiva è molto spiccata. D’altra parte è logico: dove devono stare i marchi del lusso se non in paradiso?