Un tonfo pesantissimo. Secondo i numeri resi noti dall’Istat, con riferimento a dati di statistica notarile, nel secondo trimestre di quest’anno, i mutui e i finanziamenti hanno subìto un ribasso del 41,2%. Nello stesso periodo, le convenzioni sulle compravendite di abitazioni sono invece in calo del 23,7% su base annua. Si abbassano poi del 24,8% le compravendite di esercizi commerciali, uffici, laboratori e capannoni. Sia per le abitazioni che per gli esercizi commerciali, dunque, l’Istat segna ribassi in tutte le regioni italiane, in particolare nelle Isole, dove il crollo si è attestato addirittura al 30,3%, La caduta maggiore si è registrata nei centri minori, dove il mercato delle abitazioni è crollato del 25,1%. IlSussidiario.net ha fatto il punto con Pietro Modiano, Presidente di Nomisma, società di studi economici, e grande conoscitore del mondo bancario italiano.
Quali sono i fattori che hanno determinato il crollo dei mutui e dei finanziamenti?
Non è una novità. Il fenomeno della grande debolezza dei mutui dura dall’inizio dell’anno ed è uno degli elementi di base della recessione del 2012. E’ una combinazione di effetti: le banche hanno una grande limitazione nella loro capacità di dar credito, dovuta alla carenza di capitale e agli alti costi di finanziamento. E, in più, un crescente numero di famiglie non è in grado di sostenere un mutuo e le relative rate.
Sul piano delle buone politiche, non sarebbe utile un fondo per l’accesso al credito?
Io temo, purtroppo, che questi tipi di malattie debbano fare il loro corso. Nessuno può costringere le banche a dare credito: io credo che ciò che ci porterà fuori da questo problema saranno le banche che hanno la possibilità di avere meno vincoli patrimoniali e una riduzione dello spread.
Quindi, lo spread è un “trucco”?
Chi dice questo sottovaluta il fatto che al costo di finanziamento del Tesoro ne corrisponde uno del finanziamento dell’economia: quindi, più basso sarà il costo del Tesoro e, altrettanto facilmente, si riprenderà la nostra economia. Viceversa, maggiore sarà la recessione. Sarebbe bello che il nostro ex Presidente del Consiglio avesse ragione e lo spread fosse davvero un trucco. Ma, ahimè, non è così.
Il fondo di solidarietà per le famiglie in difficoltà, in approvazione da luglio, non potrebbe risolvere, almeno in parte, il problema?
Allevierebbe in parte la questione, ma il problema è molto più esteso. Stiamo parlando di fenomeni su tutt’altro piano: sono talmente macroscopici che non si risolvono con misure-tampone. Certo, aiuterebbe i casi più difficili, ma sarebbe come mettere una piccola toppa.
Come si attesta il mercato italiano rispetto al resto d’Europa? I problemi sono comuni con altri paesi?
Penso che in Italia la recessione sia più profonda rispetto al resto d’Europa. Il fatto che mi preoccupa particolarmente è che i consumi vadano sempre peggio e che i risparmi delle famiglie si riducano sempre di più. Negli altri paesi, invece, i consumi non van certo meglio, ma almeno i risparmi hanno ricominciato ad aumentare. Questa è una differenza, a mio avviso, allarmante perchè è un chiaro sintomo che non ci riprenderemo facilmente.
C’è qualche modello da prendere ad esempio?
Il modello va ricercato nei due estremi: uno in cui l’economia sia fortemente diretta dagli Stati, l’altro in cui gli operatori economici siano del tutto liberi. Si tratta di una visione molto pragmatica, ma sostanzialmente europea, che ha avuto le sue radici in Germania con la cosiddetta economia sociale di mercato che è alla base del Trattato di Lisbona. Insomma, un migliore Stato nel mercato.
Ci sono degli strumenti che le istituzioni possono mettere in campo per migliorare la situazione attuale?
Assolutamente, perchè abbiamo bisogno di uno Stato e di istituzioni migliori per regolare il mercato.
In specifico, quali punti varrebbe la pena cambiare?
Per prima la regolamentazione della concorrenza. Occorre abbattere tutto ciò che ha a che fare con i malfunzionamenti del mercato e la cristallizzazione di posizioni di monopolio, fattori connessi alle liberalizzazioni sul mercato dei beni e dei servizi. Poi, non guasterebbe maggiore solidarietà all’interno del mondo del lavoro. Non si tratta di flessibilità del mercato: nel nostro Paese ne abbiamo anche troppa, mi riferisco alla capacità di assumersi, collettivamente, gli oneri della crisi. Sarebbe corretto che chi ha di più dia in modo proporzionale.
Intende una maggiore e più mirata tassazione?
Io ricordo sempre che ai tempi di Eisenhower, l’aliquota massima per i ricchi era il 91%, mentre durante l’era Nixon era al 70%. Trovo che sia una cosa più che giusta aumentare per un certo periodo la tassazione per chi è più fortunato, a vantaggio dei più poveri e di una maggior tenuta dei servizi che servono al benessere della parte debole della cittadinanza.