La sensazione di essere tutti un po’ più poveri corrisponde a realtà. La Banca d’Italia ha calcolato di quanto. Dal supplemento all’ultimo Bollettino statistico si apprende che, nel corso del 2011, la ricchezza netta complessiva a prezzi correnti è diminuita dello 0,7% e del 3.4% in termini reali; secondo stime preliminari, inoltre, nel corso del primo semestre del 2012 c’è stata un’ulteriore riduzione, pari allo 0,5%. Peccato. Perché eravamo, e continuiamo a essere, tra i più grandi risparmiatori del mondo, con una ricchezza netta equivalente, nel 2010, a 8 volte il reddito disponibile (contro l’8,2 della Gb, l’8,1 della Francia, il 7,8 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 5,3 degli Stati Uniti); non solo: i  nostri debiti sono pari al 71% del reddito (contro il 100% di Francia e Germania, il 125% di Stati Uniti, Giappone, il 150% del Canada e il 165% del Regno Unito). Eppure, il trend rischia di sbalzarci rapidamente in fondo alla classifica. Ne abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, professore Straordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”.



Come mai l’Italia è tradizionalmente un popolo di grandi risparmiatori?

Perché è un Paese dove è ancora viva la memoria della guerra e della distruzione. Non è un caso che, assieme ai tedeschi e ai giapponesi, gli italiani abbiano una ricchezza personale tra le più alte del mondo; né che la quota di proprietari di prima casa si avvicini all’80%, percentuale anch’essa tra le più alte.



Da cosa dipende l’erosione della ricchezza delle famiglie?

Il problema è che siamo di fronte a una crisi finanziaria che ha mutato forma, interessando, prima, il mondo finanziario e, poi, i debiti sovrani. Una crisi con origini profonde, legata a una finanza cui si erano attribuite pretese di benessere eccedenti il passo dell’economia reale. Ne stiamo pagando lo scotto attraverso l’imposizione di una sobrietà non voluta e l’abbassamento del nostro tenore di via.

Tutto ciò che effetti produce sull’economia generale?

Si sta determinando un evidente abbassamento dei consumi interni. Non solo per il calo dei redditi correnti, ma anche a causa delle aspettative sui redditi futuri. Se esse sono pessimistiche, la contrazione è ancora più forte. Il calo dei consumi, in linea teorica, potrebbe essere temperato se, contestualmente all’inevitabile contrazione delle ricchezze, si affiancasse l’instillazione di una ventata di ottimismo da parte del Governo. Insistere nell’aumentare le tasse non è di certo il modo corretto per compiere un’operazione di questo genere.



Lei cosa suggerisce?

Un patto fiscale con gli italiani. Il Governo dovrebbe impegnarsi ad azzerare l’evasione, e usarne i proventi per abbassare le tasse. E l’evasione, se ci fosse la volontà politica, si potrebbe radicalmente abbattere. 

Come?

Introducendo l’uso massiccio delle carte prepagate. Si obietta, in genere, che le persone anziane non saprebbero come raccapezzarsi. E’ un falso problema. Si figuri, infatti, che in Kenya è lo strumento usato principalmente per qualunque pagamento. Sarebbe possibile abbassare radicalmente la soglia di utilizzo del contante per legge. E spostare l’Iva dagli acquisti ai prelievi in banca, per dissuadere ulteriormente l’utilizzo di denaro liquido. In questo modo, si potrebbero recuperare dai 150 ai 200 miliardi di euro, utilizzabili per abbassare un 30% di tasse. Sul fronte, invece, della grande evasione e dello spostamento di flussi di capitale all’estero, sarebbe possibile aumentare notevolmente la pressione nei confronti dei paradisi fiscali, a partire dalla Svizzera.

Se il nostro livello di ricchezza, nonostante l’allarmante erosione, resta tra i più alti al mondo, non sarebbe il caso di inserirlo tra gli indicatori con cui tradizionalmente si definisce lo stato di salute di un’economia, quali il Pil, il debito pubblico, il rapporto debito/Pil, ecc.?

Effettivamente, il debito andrebbe considerato nel suo complesso, facendo la somma tra pubblico e privato, così come la ricchezza di un Paese. Se prendessimo in considerazione questi parametri, scopriremmo che l’Italia ha un debito totale inferiore a quello degli Stati Uniti, del Giappone, della Gran Bretagna, e analogo a quello della Germania. Il problema, è che a differenza di Usa e Giappone, non disponiamo della sovranità monetarie, e della leva svalutativa. E’ come se stessimo competendo in una gara di corsa dove alcuni (Giappone e Usa) hanno un fuoristrada mentre noi siamo a bordo di un pulmino con 27 persone. Il pulmino, ovviamente, va più lentamente. D’altro canto, se scendessimo, resteremmo a piedi. 

 

(Paolo Nessi)