Le ipotesi più infauste dovrebbero esser state scongiurate. Falcidie di imprese e di posti di lavoro, deflusso massiccio di capitali, iniqui vantaggi per le banche: niente di tutto ciò avrà luogo. La proposta del Governo di Tobin Tax emersa dalla commissione Bilancio del Senato, e che lunedì dovrebbe essere approvata nell’ambito della Legge di stabilità, non colpirà aziende e risparmiatori. L’aliquota applicata alle transazioni di Borsa in azioni e strumenti finanziari partecipativi equivarrà allo 0,12% nel 2013 e allo 0,1% nel 2014. Laddove le transazioni avvengano in mercati non regolamentati, l’aliquota sarò dello 0,22% da marzo a dicembre 2013 e dello 0,2% dal 2014. James Charles Livermore, operatore finanziario, ci spiega gli effetti che la nuova imposta produrrà.



Come valuta la Tobin Tax italiana?

Il primo piano d’analisi è quello prettamente tecnico. L’idea di una Tobin Tax parte dal presupposto di identificare dettagliatamente prodotti, aliquote e soggetti di imposizione. La legge soddisfa con precisione i primi due fattori. Il nodo che è sempre stato più difficile da sciogliere, anche in sede di discussione europea, consiste nel delimitare il perimetro di chi paga. A priori, dovrebbero essere escluse le imprese e le operazioni che riguardino direttamente i risparmiatori. Si tratta di un’accortezza effettivamente prevista da questa legge. Il problema è che la normativa bancaria non consente così facilmente di capire se l’operazione sia stata effettuata da un operatore finanziario per conto proprio o per conto terzi, ovvero per un’impresa o per un risparmiatore. Soprattutto se si tratta di transazione su derivati.



Ci spieghi meglio.

Spesso, per quanto il legislatore sia attento a cercare di mettere un argine tra quello che la banca fa per sé e quello che fa per i risparmiatori, si determinano delle zone d’ombra. Prendiamo il caso, ad esempio, di un istituto di credito che effettui un’operazione in azioni per conto del proprio cliente e che, per mettere nelle sue disponibilità un determinato paniere di titoli, abbia bisogno di tutelarsi attraverso strumenti derivati. Si tratta di una manovra per stabilizzare il bilancio della banca, e va tassata, o fa parte della strategia legata ai servizi offerti ai clienti, e non va tassata?



Più in generale, si obietta che la Tobin Tax, se non applicata a livello europeo o, addirittura, mondiale, non farà altro che favorire il deflusso di capitali. Cosa ne pensa?

Più che altro, l’applicazione in un solo Paese rischia di indebolire gli operatori nazionali a favore di quelli esteri. Tuttavia, non si determinerà alcuna perdita di posti di lavoro. Per il semplice fatto che la norma complicherà  lo svolgimento delle operazioni a tal punto da rendere necessario il mantenimento degli organici, specialmente per le funzioni di operatività e retro-ufficio.

Il gettito previsto sarà, in ogni caso, estremamente limitato. Qual è, quindi, la ratio del provvedimento?

L’Italia segna un colpo a livello europeo. Dimostra che una tassazione di questo genere, per quanto perfettibile, si possa implementare. Forse qualche altro Paese seguirà l’esempio. Il Governo, inoltre, lancia un segnale: indica che la sua azione economica è orientata verso le famiglie e le imprese e non verso la finanza speculativa. Non si tratterà, quindi, di una norma scritta dalla banche.

In Francia com’è andata a finire?

La Tobin Tax ha una connotazione decisamente più ideologica. Tra il Governo di sinistra e le banche si sta giocando uno scontro di grande esposizione mediatica. La situazione è decisamente meno sotto controllo perché si inscrive nell’ambito di una fiscalità che sta cambiando e che mira a colpire i grandi patrimoni, le plusvalenze e il medio-ceto alto. La fuga di capitali verso il Belgio sta raggiungendo livelli inquietanti.

Come evolverebbe la situazione italiana nel caso di un Governo sbilanciato a sinistra e deciso a introdurre la patrimoniale?

Attualmente, il quadro, rispetto a quello francese, è mitigato. Nell’ipotesi di una legislatura sbilanciata a sinistra, il Governo italiano dovrà imparare dagli errori di Hollande.

 

(Paolo Nessi)

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