Dopo la megacrisi del 2008 gli economisti avvertirono governi e Banche centrali che avrebbero dovuto evitare gli errori di politica fiscale e monetaria che in America trasformarono il crollo borsistico del 1929 in una depressione mondiale duratura. La lezione storica era chiara: (a) una crisi drena liquidità nel mercato e quindi non va curata alzando le tasse e il costo del denaro, ma “inondando” di liquidità stessa il sistema; (b) il protezionismo per tutelare il lavoro in una nazione in crisi, in realtà lo distrugge perché blocca il commercio internazionale.



La seconda lezione è stata capita e applicata da quasi tutti i governi del pianeta e grazie a questo abbiamo evitato una depressione globale. La prima ha ispirato l’azione della Riserva federale e del governo statunitensi, riportando velocemente l’America, locomotiva mondiale, in crescita pur lenta: aumento della spesa pubblica, riduzione del costo del denaro a zero, acquisto del debito da parte della Banca centrale per garantirlo, mantenimento della bassa tassazione, svalutazione del cambio per stimolare l’export. Ma l’Eurozona ha fatto l’esatto contrario, mettendosi a rischio di depressione o di stagnazione prolungata nel migliore dei casi.



Perché? È stata data priorità al contenimento del debito e alla bassa inflazione senza calibrarla con la priorità della ripresa e crescita. Inoltre, la Bce, per limiti di statuto, non ha potuto garantire gli eurodebiti, né attuare una politica monetaria adeguata, né abbassare il cambio per stimolare l’export. Ciò è successo perché è prevalso l’idealismo economico tedesco che, diversamente dal pragmatismo economico americano (e di tutti gli altri nel mondo), ha imposto l’ordine finanziario a scapito di crescita e lavoro.

L’Italia è stata costretta a togliere denaro dal suo mercato, alzando le tasse e riducendo la spesa, proprio in fase recessiva generale, cadendo così in una spirale depressiva. Il punto: ora il drenaggio è arrivato ai limiti di sostenibilità. Oltre questi limiti, la perdita strutturale di ricchezza (lavoro, aziende, risparmio) sarebbe tale da perfino impedire la ripresa nel futuro.



Già lo si vede nei dati tendenziali di Grecia e Spagna, lo si teme per l’Italia a cui seguirà la Francia, e perfino la Germania, con il rischio di implosione dell’Eurozona. Per questo i suoi governi e la Bce dovrebbero capire meglio la lezione del 1929. La buona notizia è che sta succedendo. La cattiva è che avviene troppo lentamente. Per questo è urgentissimo un euro-chiarimento per trovare un migliore compromesso tra rigore e crescita.

 

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