In questi giorni di dibattito sulla super-Bce ho voluto dare un’occhiata a quanto sta accadendo dentro l’Eurotower e ho capito perché è stato scelto un ex di Goldman Sachs per guidarla tra i perigliosi mari della crisi: la Banca centrale europea, infatti, è sempre più indebitata e assomiglia ogni giorno di più alle banche che si è prodigata per salvare. Avendo gentilmente sussidiato istituti per un triliardo di euro attraverso le aste Ltro, fondi distribuiti ben al di sotto dei prezzi di mercato, oggi la Bce ha un livello di leva pari a quelli di Bear Stearns e Lehman Brothers all’inizio del 2007, quando tutto sembrava bellissimo e il mercato sempre in rialzo. In altre parole, se il fondo Efsf fosse un cdo, la Bce sarebbe di fatto un banca ultra-sottocapitalizzata rispetto alla propria esposizione, visto che da quando Mario Draghi ha preso il timone dell’istituto nel novembre 2011, il bilancio è cresciuto del 30%, raggiungendo i 3 triliardi di euro. Tutto questo è stato supportato dal proprio capitale – con un incremento messo a preventivo di 10 miliardi di euro – e dal capitale delle banche centrali dell’eurozona per 80 miliardi di euro: bene, tutto questo si sostanzia in una ratio di leva pari a 1:38!!!
A cosa siano servite le aste Ltro lo sapete bene, ma è sempre meglio ricordarlo: permettere alle banche di dar vita a quello che nella City viene definito il “Sarkozy trade”. Si prendono soldi all’1% dalla Bce ponendo come collaterale carta da parati e si comprano debiti sovrani della periferia dell’eurozona ad alto rendimento, così da garantirsi un bel profitto dal carry trade, ovvero dal gap di differenziale tra tassi pagati e tassi da incassare. In parole povere, i soldi della Bce non sono serviti a nulla in tema di fondamentali dell’economia dell’eurozona, sono serviti a salvare le banche, garantendo loro profitti e abbassando artificialmente gli spread sovrani dei vari Paesi verso il Bund per rianimare un po’ il mercato e far gridare a miracolo a ogni asta. Punto.
Queste operazioni di finanziamento speciale, infatti, non incidono minimamente sul livello di debito dei vari paesi, servono unicamente nel breve termine. Tanto più che se la ricetta per l’Europa è quella dell’austerity, il caso greco ma anche irlandese, portoghese, spagnolo e persino italiano ci dicono che combinare contrazioni fiscali con riduzione del debito nel settore privato porta soltanto a un epilogo, la recessione e aumenta – come il caso italiano dimostra – lo stock di debito, invece di farlo diminuire. Insomma, ve lo dico chiaro e tondo: se vogliamo salvarci, noi come la Spagna, dobbiamo ristrutturare il nostro debito, è inevitabile.
Anche perché o Draghi rende le aste Ltro appuntamenti fissi almeno due volte l’anno, non si sa come quali soldi, oppure i tassi di interesse che le nazioni pagano per piazzare il loro debito torneranno a salire una volta che il placebo della Bce avrà finito di narcotizzare i mercati. È un cane che si morde la coda, perché se non si riesce a tornare a condizioni di finanziamento sul mercato normalizzate, le banche si troveranno costrette a vendere i titoli di debito che hanno acquistato con i soldi delle aste Ltro, ponendo ancora maggiore pressione sul finanziamento sovrano e sui suoi costi. Anche se nessun politico, tranne qualche eccezione come quella rappresentata da Giulio Tremonti, ve lo dirà mai apertamente, avendo comprato così tanto debito dell’eurozona, le banche nell’area periferica dell’Ue ora sono le maggiori detentrici delle liabilities dei loro governi e quindi stanno sedute su una bomba a tempo di perdite.
Siamo di fronte a uno schema Ponzi sponsorizzato dai governi, visto che i problemi di solvibilità o finanziamento delle banche non sono stati risolti dalle aste Ltro, ma sono in carico alle varie banche centrali: insomma, istituti di credito deboli sostengono debiti sovrani deboli per ottenere in cambio la tutela governativa. Come due persone che annegano e che si attaccano l’una all’altra per cercare di salvarsi. E non fatevi ingannare dagli spread: la situazione bancaria spagnola, nonostante i 37 miliardi arrivati dall’Ue, sta ancora peggiorando e la bolla sulla proprietà sta per esplodere. Inoltre, con il suo appello di luglio, nel quale si diceva pronto a supportare l’eurozona a qualsiasi costo, Mario Draghi ha di fatto annunciato la collettivizzazione del debito bancario, il quale è tre volte il debito sovrano per entità: insomma, o i creditori scendono a patti e accettano le perdite, oppure salta il banco.
Tanto più che la declamata unione bancaria non serve a nulla se non a garantire profitti a Wall Street e alla City londinese, oltre che permettere alle Landesbanken tedesche di fare i loro comodi a spese dei cittadini europei, oltretutto ammantando la situazione con la coperta della solidarietà tra stati membri. I punti insoluti, al netto degli sforzi della Bce e della sua volontà di trasformarsi nella migliore delle ipotesi in un bancomat e nella peggiore ma non più peregrina in un hedge fund sottocapitalizzato, sono sempre gli stessi: non potendo gli Stati svalutare la propria moneta, non hanno altra via se non il processo doloroso della svalutazione interna per produrre beni a un prezzo minore rispetto ai concorrenti nell’Unione. Peccato che, a eccezione dell’Irlanda, nessun’altro dei Paesi in crisi sia riuscito a dar vita e seguito a questo processo, anche per l’assistenzialismo mascherato della Bce: se il denaro dei salvataggi, sovrani o bancari poco cambia, continua ad arrivare copioso e a truccare conti e situazioni, nessuno sarà stimolato a operare reali cambiamenti.
Una volta che lo schema Ponzi salterà in aria – e succederà – chi non riuscirà a dar vita alla svalutazione interna, dovrà per forza dire addio all’euro. D’altronde, più si rinviano le decisioni drastiche ma necessarie, più gli investitori privati avranno modo e agio di vendere la cartaccia tossica che hanno in pancia ai fondi di salvataggio sovrano, oltretutto senza subire haircuts. Chi pagherà quindi il conto? Contribuenti e pensionati.
Insomma, le ricette e la road map finora intraprese da Bce e governo tedesco ci dicono chiaramente da che parte si sono schierati, ovvero da quella degli investitori e non dei cittadini chiamati a pagare i costi di questa scelta di campo. Tanto più che ieri, intervistato da Die Welt, il membro del Consiglio direttivo della Bce, Erkki Liikanen, ha detto chiaro e tondo che «servono strumenti legali per giungere a una regolamentazione seria del sistema bancario. In modo che, in caso di collasso di un istituto, i costi siano per il proprietario e non per i contribuenti». Più ammissione di colpa di così.
P.S.: La Commissione europea ha approvato temporaneamente, in base alle norme Ue sugli aiuti di Stato, una ricapitalizzazione da 3,9 miliardi di euro del Monte dei Paschi di Siena tramite sottoscrizione di un prestito del Tesoro italiano. La misura, «dettata da ragioni di stabilità finanziaria – si legge nella nota di Bruxelles – consentirà alla banca di conformarsi alle raccomandazioni dell’autorità bancaria europea (Eba)», che prevede una riserva supplementare temporanea di patrimonio per contrastare l’esposizione al rischio sovrano. E come mai si è giunti a questa necessità? Perché negli ultimi anni a Siena si è investito eccessivamente in Btp, che attualmente ammontano a circa 25 miliardi nel portafoglio dell’istituto e non rendono quasi niente per via di operazioni di copertura sui tassi andate nella direzione contraria a quella dei grafici. Dei veri geni del sistema bancario a Siena! Capito perché abbiamo anticipato la seconda tranche di stanziamenti italiani al fondo salva-Stati, 2,7 miliardi di euro? Per “comprare” il via libera a quella che è di fatto una nazionalizzazione di Mps con soldi pubblici che andranno a tamponare le incapacità dei manager privati. Capito perché ci hanno piazzato l’Imu? Per salvare Mps.