“Le riforme economiche danno frutti, anche se nel breve termine possono implicare costi considerevoli per i cittadini. Ma sono la giusta strada da seguire”. Lo ha dichiarato Mario Draghi, presidente della Bce, nel corso di un’audizione di fronte al Parlamento di Strasburgo. Per Draghi, “l’aggiustamento dei conti è visibile, per esempio, guardando all’aumento dell’export in Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo, paesi che stanno anche guadagnando sui costi dell’unità di lavoro”. Il presidente ha aggiunto che l’economia “resterà debole nel 2013 e avremo una ripresa molto graduale a fine anno”. Ilsussidiario.net ha chiesto a Carlo Altomonte, docente di Economia dell’Integrazione Europea all’Università Bocconi, di commentare queste parole.



Professor Altomonte, davvero come dice Draghi l’Italia sta guadagnando su tutta la linea?

La crisi sta arrivando alla sua fase più acuta e da qui in poi con il tempo le cose miglioreranno. Non parlerei da subito di un aggiustamento sulla competitività, perché la ragione per cui si riducono i costi dell’unità di lavoro è che si chiudono i differenziali di disavanzo di bilancio e la domanda resta molto anemica. La compressione dei salari e della domanda migliora i costi unitari di unità di prodotto, fa importare di meno e quindi sembra che il Paese stia riducendo gli squilibri, ma è una correzione tutta fatta dal lato della domanda e non dal lato dell’offerta.



Che cosa significa, tradotto per i non addetti ai lavori?

Le aziende continuano a ricorrere alla cassa integrazione e quindi il costo del lavoro per unità di prodotto scende, in quanto una parte dei salari è pagata dalle casse pubbliche. Ma questo non significa che il Paese sia in ripresa.

Il dato di fatto per Draghi è che le riforme economiche stanno dando i loro frutti. E’ d’accordo con lui?

Stiamo arrivando alla parte più bassa della crisi e i segnali che vediamo ci dicono che l’economia pian piano sta iniziando a reagire. Sono reazioni che sono ancora troppo spostate dal lato della domanda. Ciò che ancora manca sono una serie di riforme che possano migliorare la produttività dal punto di vista dell’offerta: per fare questo non c’è altra soluzione che continuare lungo la strada che è stata imboccata. Sarebbe un errore imperdonabile se il prossimo Governo prendesse un’altra direzione, dopo tutti gli sforzi e i sacrifici che abbiamo compiuto per un anno per rimettere in piedi il Paese e sopravvivere al rischio di fallimento che abbiamo attraversato nel novembre 2011. E’ quest’ultimo fatto ciò che nessuno dice.



Le conseguenze di questo rischio continuano a perdurare?

Sì, oggi viviamo lo shock che il Paese ha dovuto subire da parte del governo Monti per rimettere i conti in ordine. Per questo la situazione dal punto di vista dell’economia reale è peggiore di un anno fa, ma l’Italia ha dovuto fare una cura da cavallo e quindi è ovvio che il corpo si è indebolito. Dobbiamo continuare su questa strada, i segnali sono incoraggianti, ma c’è ancora tanto da fare e quindi è auspicabile che comunque vadano le elezioni non si devi dal percorso intrapreso.

 

Fino a che punto la strada imboccata dal governo Monti è stata davvero quella giusta?

 

I risultati sono stati positivi per quanto riguarda il risanamento dei conti pubblici, meno per quanto riguarda le riforme. Era del resto prevedibile che trattandosi di un governo tecnico le cose sarebbero andate in questo modo. Le riforme necessitano infatti di una forte legittimazione politica che la strana maggioranza di cui godeva il governo Monti probabilmente non era in grado di fornire.

 

In che senso?

 

Le riforme sono sempre “partisan”, cioè richiedono un soggetto politico che se ne assuma la responsabilità. Proprio per questo spero che il prossimo confronto elettorale avvenga sull’agenda delle riforme. Si tratta di una strada che può essere anche dura, in quanto va a toccare degli interessi corporativi del Paese. Chi riuscirà ad avere una maggioranza sulla base di un programma elettorale basato sulle riforme avrà però il dovere morale di portarle avanti. Da un lato quindi Draghi ha ragione, ma dall’altra la strada del risanamento compiuto finora potrebbe rivelarsi effimero se l’Italia non dovesse continuare ad andare avanti nella direzione imboccata.

 

Il governo Monti ha messo a punto le riforme del lavoro e delle pensioni. Quali altre restano da compiere?

 

Manca tutto il tema delle liberalizzazioni, dei servizi pubblici locali, delle professioni e della giustizia civile. Occorre inoltre una rimodulazione della spesa regionale con la centralizzazione di alcune funzioni, l’introduzione dei costi standard nel settore sanitario e il completamento delle riforme della scuola e dell’università.

 

(Pietro Vernizzi)