Rivista e modificata dal governo, la Tobin Tax “all’italiana” ha ricevuto il via libera definitivo della Commissione Bilancio. Nonostante gli introiti stimati dall’esecutivo siano di circa 1,088 miliardi di euro, le critiche rivolte alla nuova tassazione dal mondo finanziario si fanno sempre più feroci: da una parte Xavier Rolet, ceo di London Stock Exchange Group, gruppo che controlla la Borsa di Londra ma anche Piazza Affari, si dice convinto che la Tobin Tax produrrà solamente una ingente fuga di capitali. Senza un progetto realmente condiviso a livello non solo europeo ma mondiale, infatti, a molti esperti del settore risulta decisamente insensato introdurre una tassa del genere. La pensa allo stesso modo anche Mario Baldassarri, presidente della commissione Finanze e senatore di Futuro e Libertà, contattato da IlSussidiario.net.



Come giudica l’idea di introdurre questa imposta?

Ho avuto la fortuna di incontrare il grande economista James Tobin diverse volte, prima della sua scomparsa, e di parlare direttamente con lui di questa imposta. Dopo averla proposta circa 40 anni fa, Tobin se ne era addirittura pentito.

Come mai?

Perché la sua idea era stata travisata e nessuno sembrava aver capito un fondamentale punto di fondo: la Tobin Tax è stata pensata come tassa internazionale e mondiale, non applicabile da un solo Paese. E’ evidente, infatti, che se viene messa in campo da singole nazioni, avrà come unico effetto quello di spostare i capitali dove non viene applicata. E questo non è un rischio, ma una certezza.



Con quale obiettivo l’aveva invece immaginata James Tobin?

Lui aveva espresso la necessità di “gettare un granello di sabbia negli ingranaggi troppo ben lubrificati della finanza internazionale”, quindi in meccanismi che possono diventare eccessivamente frenetici e incontrollabili. Però, come ho detto, si riferiva proprio ai mercati internazionali, mentre al momento, anche se ne sta discutendo l’Europa intera, la Tobin Tax è di fatto applicata dai singoli Paesi, a cominciare dall’Italia. C’è poi un altro aspetto che rischia di diventare dirompente.

Quale?

La diffusione sempre più massiccia dell’High frequency trading (scambi ad alta frequenza, algoritmi sviluppati dalle principali banche d’affari in grado di generare in una frazione di secondo migliaia di ordini di acquisto e di vendita, ndr). Questi software che operano in Borsa in automatico, ad alta velocità e al posto dei broker, rischiano di amplificare enormemente i cicli delle quotazioni, con la conseguenza che, con una tale spinta, un’onda di 20 centimetri possa facilmente trasformarsi in uno tsunami di 20 metri. Anche in questo caso il problema di fondo è lo stesso: su questo tipo di attività è prevista una tassazione (dello 0,02%), ma i mercati devono necessariamente essere regolamentati attraverso norme condivise e applicate sul piano mondiale.



Anche per questo motivo la Gran Bretagna si è sempre detta fortemente contraria?

Ma certo, perché anche se la Tobin Tax fosse applicata da tutta Europa, i capitali si sposterebbero comunque fuori dall’area euro per finire a Hong Kong, Londra o New York. Un meccanismo del genere rende quindi totalmente incerta sia l’efficacia della tassa, sia il gettito che se ne potrà realmente ricavare. Io non sono contrario alla Tobin Tax, ma solo se applicata come aveva previsto il suo creatore.

In che modo la Tobin Tax potrà invece penalizzare i piccoli risparmiatori?

Ai privati cittadini e ai piccoli risparmiatori da sempre consiglio di non farsi tentare da questi “giochi” pericolosi che, come un tritacarne, rischiano di prendersi prima un dito e poi l’intero braccio. Il piccolo risparmiatore dovrebbe quindi affidarsi ai titoli di Stato, titoli sicuri, e sicuramente con una logica di medio-lungo termine.

 

(Claudio Perlini)

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