Come da copione, la campagna elettorale di Silvio Berlusconi si è incardinata sui binari anti-tedeschi. L’ex premier, intervistato da Paolo Del Debbio, si è detto convinto del fatto che la grave situazione in cui versa l’Italia dipenda da un’austerità recessiva imposta «dall’egemonia non solidale ma egoista della Germania». Certo, sappiamo bene che le sta provando tutte per risalire la china e riconquistare la pancia degli elettori. Non sarà, tuttavia, che nel merito abbia ragione? Lo abbiamo chiesto al vicepresidente della Fondazione Edison, Marco Fortis.



Siamo sopraffatti dall’egemonia tedesca?

Ci sono delle grandi potenze economiche che, come sempre è avvenuto nella storia, pongono i loro interessi davanti a tutto. Gli Stati Uniti hanno fatto scoppiare la crisi, ma sono riusciti a gestirla, anche per gli ampi margini di manovra di cui dispongono sul fronte monetario. Anche la Germania sta cercando di sistemare, anzitutto, la sua situazione. In un contesto, a dire il vero, piuttosto contradditorio.



Ci spieghi.

Da, un lato ci sono le imprese tedesche che fanno di tutto per evitare lo sfascio dell’Eurozona; finché ad avere difficoltà era solo la Grecia, non avevano avvertito pressoché alcun contraccolpo. Nel momento in cui centinaia di milioni di contribuenti europei hanno iniziato a tirare la cinghia, hanno iniziato a essere fortemente penalizzate dal calo dell’export. Dall’altro, tuttavia, cresce un elettorato che disprezza sempre più i paesi del Mediterraneo, convinto che essi passino il tempo a succhiare risorse dalla Germania. La Merkel, in buona parte sta privilegiando, per mere ragioni elettorali, costoro.



In questo scenario, in cosa consiste la strategia della Germania?

Cominciamo col dire che la Germania è un Paese che ha campato per 11 anni, dal 1999 al 2011, grazie ai surplus commerciali bilaterali. Dalla Francia sono provenuti 300miliardi di euro di surplus cumulato, da Spagna, Grecia e Portogallo, altri 300. Da noi, siccome non siamo un “Paese scendiletto”, e disponiamo di un’industria forte, solo 150. Si può dire, infatti, che dalla Germania compriamo quasi esclusivamente le auto. Normalmente, nelle economie di mercato, quando un Paese ha un grande surplus, la sua valuta, dopo pochi anni, va alle stelle. Questo non è accaduto alla Germania perché ha potuto godere di un cambio fisso uguale a quello dei paesi che gli compravano i prodotti. Gran parte della competitività tedesca, quindi, deriva semplicemente dall’euro. Per 11 anni ci sono stati Paesi che compravano i suoi prodotti senza potere svalutare le proprie monete e senza che la Germania rivalutasse la sua.

Quindi?

E’ stata disposta a mettere in comune quello che le garantiva dei vantaggi. Quando sono emersi i problemi e si è trattato di salvare la Grecia, si è tirata indietro. E, lasciando decantare la questione, ha avuto modo di sanare parte delle proprie criticità bancarie.

 

Veniamo all’Italia: quanto ha inciso l’atteggiamento tedesco sulla nostra politica economica?

 

Abbiamo avuto la colpa di non aver avuto per anni uno straccio di strategia. L’unica è stata quella conservatrice, anche se tutto sommato efficace, di Tremonti. Il quale, attraverso i tagli, ha tenuto i conti in ordine. Fino a quando tutta la maggioranza di allora non si è ribellata. La debolezza del governo italiano si è trovato in una lunga agonia. Fino ad arrivare a uno spread che, benché non riflettesse i fondamentali della nostra economia, ci ha obbligato a una cura da cavallo, per evitare la debacle dei nostri titoli.

 

In cosa è consistita la cura di Monti?

 

Nel far recuperare la fiducia compromessa lo scorso anno, quando la gente scappava dai nostri titoli pubblici. Gli stessi italiani hanno avuto paura e hanno iniziato a vendere i titoli che possedevano. Le politiche d’austerità vanno inscritte in questo scenario. Senza di esse, Monti non avrebbe mai potuto andare in giro per l’Europa pretendendo, per esempio, la liberalizzazione dei servizi tedeschi o politiche per lo sviluppo. Una volta dimostrato che siamo stati in grado di mettere i conti in ordine, tuttavia, avremmo dovuto negoziare qualcosa di più per contemperare crescita e rigore.

 

Cosa, per esempio?

 

Non si capisce perché dobbiamo fare il pareggio di bilancio in tempi così rapidi quando nessuno al mondo rispetta gli impegni sul deficit. Il nostro debito pubblico, inoltre, è aumentato (e, prevalentemente, per i prestiti concessi al Fondo salva-stati) ma in misura inferiore rispetto a quello della Germania. Avremmo potuto, a questo punto, chiedere 12 mesi in più per raggiungere il pareggio.

 

(Paolo Nessi