I maya e le banche. Eduardo De Filippo diceva che essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male. Ci avranno pensato ieri le grandi banche internazionali, avendo vissuto una giornata che assomiglia molto a quel 21 dicembre (ahi! È domani) per il quale è prevista la fine del mondo. A Milano quattro di loro sono finite nei guai per i famosi derivati fatti comprare al Comune di Milano nel 2005. Per quell’operazione, ieri, il giudice Oscar Magi ha sanzionato le tedesche Depfa e Deutsche Bank, la svizzera Ubs, e l’americana JP Morgan con una multa di un milione di euro ciascuna e deciso il sequestro di beni per 88 milioni di euro; inoltre, ha condannato a pene detentive varianti fra i sei mesi e i tre anni, nove dirigenti di quegli stessi istituti. Le quattro big del credito hanno subito annunciato appello contro una sentenza definita inspiegabile. Parere opposto ha espresso invece il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, responsabile dell’inchiesta che ha portato al giudizio: “Si tratta di una sentenza storica – ha detto – che potrà cambiare il modo di agire di tutte le banche”. Per la stessa vicenda, il Comune di Milano aveva già concordato in sede civile un risarcimento di circa 400 milioni di euro.



Tutta la storia, come detto, risale al 2005 quando a palazzo Marino c’era una giunta di centrodestra guidata dal sindaco Gabriele Albertini. Il Comune, come sempre in affanno finanziario, stipulò con le quattro banche i contratti derivati, prodotti frutto della fantasia degli ingegneri finanziari con una particolarità: si presentano, all’inizio, come molto vantaggiosi, ma con il passare del tempo rivelano i loro reali costi, occulti, che lievitano inesorabilmente, schiacciando il debitore. Sono insomma appetibili, ma tossici. Attirano gli enti locali perché con questi strumenti possono, teoricamente, indebitarsi a condizioni ragionevoli all’inizio del contratto, scaricando gli oneri sui bilanci degli anni successivi. Vale a dire, sulle amministrazioni che seguiranno. Rappresentano dunque una grande tentazione per i politici al potere che raccolgono soldi, li possono spendere facendo bella figura con gli elettori, e mandano il conto a quelli che prenderanno il loro posto. Chi vivrà, vedrà. Proprio a metà degli anni 2000 l’Italia è diventata una sorta di Eldorado, di terra promessa per le grandi banche internazionali diventate abilissime a usare il giocattolino dei derivati. Li hanno piazzati a Comuni grandi e piccoli, a enti, persino a un convento di frati. Ognuna di loro aveva creato un gruppo, un team esperto proprio in questo settore che funzionava a pieno ritmo, producendo commissioni da nababbi. Tutto è andato bene finché, allo scadere dei primi contratti, i debitori si sono accorti che il conto era molto più salato di quanto avessero previsto. Le banche, le stesse, hanno offerto di nuovo i loro servigi, ma anche questa volta nascondevano una pozione avvelenata: si trattava di altri derivati, ancora più onerosi. Il bengodi per le banche, l’infermo per i Comuni e gli altri malcapitati.



Il primo ad accorgersi che qualcosa non funzionava in tutta questa macchinosa vicenda è stato Davide Corritore, oggi city manager di Palazzo Marino, ma allora semplice consigliere comunale in quota Pd. Non è un signore qualunque, ma un manager che viene dalla finanza più sofisticata, avendo lavorato in ruoli dirigenziali per molto tempo alla Deutsche Bank italiana; è stato lui, per esempio, a diffondere i futures sul nostro mercato. Insomma, sa di che cosa si tratta e conosce di che pasta sono fatti gli eleganti personaggi in gessato che vanno in giro per i palazzi del potere piazzando la loro costosissima mercanzia. Ha incominciato una personale inchiesta ed è arrivato a una conclusione: i contratti erano di una tale complessità, che solo degli ingegneri finanziari avrebbero potuto comprenderne e valutarne tutti gli aspetti. E accorgersi della loro onerosità mascherata. In sostanza e in parole molto povere, Corritore ha compreso e documentato che le banche avevano di fatto carpito la buona fede dei responsabili finanziari dei vari Comuni, li avevano convinti a sottoscrivere prodotti inadatti alle loro esigenze, esponendoli a oneri in prospettiva insostenibili. Se volete che usi un’espressione ancora più terra a terra, eccola: li avevano raggirati. Corritore, dopo due anni di lavoro, ha trasmesso il suo dossier e riferito la sua convinzione alla Procura di Milano, che si è trovata perfettamente d’accordo con le sue analisi e ha avviato l’inchiesta. Come detto, le quattro banche hanno accettato una trattativa a livelli civilistico, pagando come indennizzo una cifra vicina ai 400 milioni al Comune. Ma l’azione penale, ovviamente, è proseguita sfociando nel giudizio di ieri, il primo caso a livello internazionale di un Tribunale che affronta il tema derivati e condanna quattro banche che li hanno messi sul mercato.



Come sempre bisognerà aspettare dispositivo e motivazioni della sentenza, ma da quello che ha già detto il giudice Magi, l’indicazione è chiara: le banche non possono più vendere tutto quanto frulla nella fertile fantasia dei loro, chiamiamolo così, inventori e venderlo in giro per il mondo guadagnando commissioni con molti zeri. Non possono più farlo perché, dopo questa sentenza, sono ritenute responsabili di quanto offrono ai clienti. È una sentenza storica, come dice giustamente Robledo, perché farà da precedente, da filo rosso per tutti gli altri casi analoghi o identici che già sono finiti o stanno finendo nelle aule giudiziarie. Quindi il 19 dicembre sarà ricordato, sempre che tutti insieme si sopravviva all’Apocalisse Maya che ci attende domani (a orario imprecisato), sarà ricordato, dicevo, come un giorno nero, nero, nero per la disinvolta finanza internazionale che con la sua spregiudicatezza e la sua avidità ha dato una spinta decisiva alla crisi mondiale partita nel 2008 e non ancora finita. Sarà bene che imparino, i signori banchieri, a comportarsi in maniera più prudente, trasparente. E, lasciatemi dire, anche onesta. Il capitalismo è la terra dei coraggiosi e dei meritevoli, che vanno premiati; non dei banditi e degli arruffoni, che vanno invece isolati.

 

Ma il nero, nero, nero per le banche non è venuto solo da Milano. Dagli Usa è piombata una multa da 1,5 miliardi (ripeto: miliardi) di dollari per Ubs. La banca svizzera, una dei leader indiscussi nella gestione della ricchezza planetaria, si è dichiarata colpevole di un reato che fa rizzare i capelli: ha ammesso di aver manipolato, assieme ad altri allegri compagni di avventura, il Libor, vale a dire il tasso al quale le banche si prestano il denaro fra di loro e che condiziona, a cascata, il costo del credito per tutti, aziende e privati. Alcuni signori a Londra si erano messi d’accordo per alterare questo meccanismo di determinazione del prezzo con lo scopo, ovviamente, di realizzare enormi profitti. Per questo vizietto truffaldino l’inglese Barclays era già stata sanzionata nelle settimane scorse per circa 450 milioni di sterline; ieri è toccato a Ubs. Ma siccome altre banche erano parte del club dei truccatori del Libor, la storia conoscerà ancora altri capitoli, tutti negativi per loro, tutti positivissimi per il mercato, i consumatori, la gente per bene. Per tutti quelli che sopravviveranno al 19 dicembre delle banche e al 21 dicembre dei maya.

 

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