Marchionne farà il buono. Tutti a Natale esprimono i loro buoni propositi per l’anno nuovo. È una tradizione, ed è giusto osservarla. Così come è giusto, proprio perché almeno in questi giorni dovremmo essere più disponibili verso il nostro prossimo, prendere sul serio le promesse degli altri. Per pensar male, caso mai, c’è sempre tempo. Dunque questa disposizione d’animo vale anche per Sergio Marchionne, l’amministratore delegato della Fiat. Indossando l’immancabile maglione (magari sotto l’albero ne troverà uno nuovo, di un colore meno da sacrestia) è andato a Melfi e ha annunciato che l’anno prossimo farà grandi cose. In dettaglio: investirà un miliardo di euro, produrrà i mini suv con marchio Jeep, ne farà 1600 all’anno, abbandonerà i marchi generalisti per andare a competere nella parte alta del mercato, in tre-quattro anni porterà le attività in Italia e in Europa in pareggio. E ha così concluso il suo intervento: “È un piano coraggioso, non è per deboli di cuore”. Non è neanche per chi ha qualche fragilità nervosa, perché mantenere la calma per i 5500 lavoratori di Melfi non deve essere stato semplice. Quest’anno hanno già fatto 150 giorni di cassa integrazione e le previsioni di mercato non lasciano presagire nulla di buono: nel 2013 la domanda calerà di un altro 3% dopo aver lasciato sul terreno l’8% nell’anno che si sta chiudendo. Secondo gli analisti (ultima è stata l’agenzia Fitch), in questo quadro i due produttori più critici sono proprio la Fiat e la Peugeot: entrambe rischiano di passare davvero male i prossimi 12 mesi.
Siccome i dipendenti di Melfi, come quelli di tutti gli altri stabilimenti, conoscono questi scenari disarmanti, è probabile che abbiamo manifestato qualche perplessità. D’altra parte, per credere alle promesse di Marchionne ci vuole anche una certa dose di coraggio, o di rassegnazione a seconda del carattere di ciascuno. Perché quel signore che annunciava il futuro luminoso al traino del piccolo suv, è lo stesso che circa un annetto fa riempiva i giornali con i suoi progetti di Fabbrica Italia e 5 miliardi di investimenti. Puri castelli in aria, come la cronaca dei mesi successivi si è incaricata di dimostrare. Chi assicura che invece questa volta si tratta di un progetto serio e che sarà realizzato? Il dubbio è legittimo. Sì, anche perché quella frase “andare a competere nella parte alta del mercato” significa una cosa molto semplice: mettersi contro Mercedes, Audi, Bmw, tanto per citare alcuni dei pesi piuma che la Fiat ha in mente di sfidare. È vero che la fortuna aiuta gli audaci, ma non ha grande simpatia per i temerari. Decidere di produrre, da un giorno all’altro, auto di qualità e di grande cilindrata per una casa che da decenni riesce a sopravvivere con utilitarie percepite dal pubblico come appena passabili, è un’impresa da prestigiatori più che da manager. Marchionne vuole provarci? Così dice. Auguri a lui, alla Fiat e a tutti noi. Però un po’ di scetticismo è legittimo.
Chi invece sembra non aver avuto dubbi sul progetto annunciato da Marchionne è il presidente del Consiglio, presente alla discorso di Melfi. Anzi, Mario Monti nel suo intervento ha definito le parole di Marchionne una svolta, un passaggio chiave, un punto e a capo. Magie del Natale? O della campagna elettorale?
Un siluro per Mps. La Banca centrale europea (Bce) ha detto di non gradire la decisione presa giovedì dal governo di sottoscrivere bond del Monte dei Paschi di Siena per 3,9 miliardi. Secondo l’istituto guidato da Mario Draghi, se Siena non è in grado di ripagare i suoi debiti e ha bisogno dell’aiuto dello Stato, allora tanto vale che lo Stato sottoscriva azioni della banca. Francoforte, se una nazionalizzazione deve esserci, preferisce che venga ufficializzata, realizzata a viso aperto e non mascherata con l’espediente dei Monti bonds. Ecco pronta una patata bollente per il prossimo governo. Se sarà a guida Pd, ecco pronto un conflitto di interessi per un partito che da sempre la fa da padrone al Monte dei Paschi.
Le tasse delle Regioni. La legge di stabilità ha, fra le tante cose, concesso alle Regioni la possibilità di aumentare le addizionali Irpef e Irap nel 2013. È un diritto, non un obbligo. Le due Regioni che andranno al voto nell’election day (o nelle immediate vicinanze) sono Lombardia e Lazio, due esempi nazionali e internazionali di cattivo uso delle finanze pubbliche ricavate dalle tasse dei cittadini. Sarebbe lecito pretendere dai candidati alle due presidenze un impegno a non chiedere un centesimo in più se prima non avranno provveduto a tagliare con il machete la voce spese. Se non lo faranno, allora sapremo per chi non votare.
Il Corriere rinvia. Ennesimo rinvio della decisione sull’aumento di capitale di Rcs Mediagroup, la casa editrice de Il Corriere della Sera. Pur di fronte a un indebitamento di 875 milioni di euro che richiederebbe un urgente apporto di finanza fresca, l’amministratore delegato, Pietro Scott Jovane, ha annunciato che ne parlerà l’anno prossimo, assieme alla presentazione dei dati di bilancio 2012. Si aspetta primavera. Nella speranza che nel frattempo le partite che tengono impegnati gli azionisti riuniti nel patto di sindacato si risolvano. Ce ne sono tante. E alcune non si giocano solo nel salotto buono.
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