Nelle prossime ore, Barack Obama presenterà una proposta di legge per scongiurare il raggiungimento del tetto fiscale, che per gli Stati Uniti significherebbe il default con lo stop al pagamento degli stipendi pubblici. Il Presidente americano lavora a un piano per raggiungere un compromesso con i Repubblicani entro il 31 dicembre. Ilsussidiario.net ha intervistato Mario Seminerio, economista e autore del blog Phastidio.net.



Come vede il conto alla rovescia cui stiamo assistendo negli Stati Uniti?

Innanzitutto bisogna compiere una distinzione: un conto è il fiscal cliff propriamente detto, un altro il raggiungimento del tetto legale al debito federale. In questo caso le due cose tendono ad accadere contemporaneamente, per una serie di circostanze, pur essendo di natura diversa. Il fiscal cliff è quella serie di misure automatiche negoziate da Congresso e Casa bianca nell’estate del 2011, in base a cui in assenza di un accordo sulle misure per ridurre il deficit federale, dal primo gennaio 2013 scattano delle misure automatiche di stretta fiscale.



In che cosa consistono queste misure?

Interessano per il 50% il bilancio del Pentagono e per un altro 50% le voci di spesa discrezionali. Quindi non riguardano, per esempio, la sicurezza sociale e la sanità a livello di MediCare. Si stima che se queste misure entreranno in vigore il primo gennaio, l’economia Usa subirà una stretta fiscale nell’ordine del 4% del Pil e di conseguenza rischia di precipitare in recessione.

In parallelo c’è il discorso sul tetto legale al debito federale. Quali sono i meccanismi previsti dalla legge Usa?

La legge federale consente di approvare leggi in deficit, ma poiché quest’ultimo va ad alimentare il debito, prevede che a valle ci sia un livello legale massimo di debito che viene innalzato periodicamente. I Repubblicani non vogliono accettare le misure di Obama per la gestione del fiscal cliff. Obama vuole soprattutto un aumento della tassazione, mentre i Repubblicani vogliono quasi solo un taglio delle spese. Nel frattempo, visto che si avvicina la data in cui il debito federale raggiungerà il tetto legale, i Repubblicani dispongono di un’arma negoziale nei confronti di Obama. Se il tetto non è alzato, il governo federale dovrà dichiarare una sorta di default tecnico che in teoria implicherebbe il fatto di non pagare più gli stipendi ai dipendenti pubblici.



Che cosa accadrà ora?

Alla fine si troverà un accordo e ci sarà l’ennesimo compromesso. Già nell’estate 2011, quando si trattò di alzare il tetto del debito federale, c’erano stati questi timori di un possibile “serrata” del governo di Washington. Alla fine si trovò un accordo e il tetto di debito è stato alzato, anche se di poco tanto è vero che a circa un anno e mezzo di distanza siamo tornati alle stesse criticità.

 

Quindi l’accordo dell’estate 2011 non ha risolto il problema?

 

Assolutamente no, in quanto si è creata una situazione di stallo per la “divergenza esistenziale” tra Obama e i Repubblicani. Il presidente vuole chiudere il deficit soprattutto attraverso un aumento delle imposte nei confronti dei più ricchi. I Repubblicani al contrario vogliono chiudere il deficit con un taglio di spesa federale, in particolare per quella sociale relativa alla sanità e ai vari ammortizzatori. La conseguenza è un braccio di ferro che prosegue da un anno e mezzo, e che appare ancora lontano dal giungere a una conclusione.

 

Quanto è preoccupante il debito americano?

 

Negli Usa il rapporto debito/Pil è pari al 90%, in Italia ha superato il 120%. Ma in entrambi i casi perché il debito sia sostenibile serve la crescita. Se un Paese non cresce, un rapporto debito/Pil del 90% è già molto preoccupante, perché si crea il problema di come finanziare e rinnovare questo debito.

 

E’ meglio tagliare la spesa pubblica o alzare le tasse?

 

La pressione fiscale federale in rapporto al Pil negli Usa in questo momento è ai minimi rispetto agli ultimi 60 anni. Le tasse federali sul Pil sono al 15%, contro una media storica del 18-19% (in Italia è al 55%, Ndr). Quindi Obama vuole alzare la pressione riportandola ai livelli della media storica e tassando maggiormente i più ricchi. I Repubblicani ribattono che la spesa pubblica federale è al 24-25% rispetto al Pil, e di conseguenza bisogna agire su quella. Il punto però è che una parte della spesa pubblica federale deriva dalla debolezza dell’economia, in quanto si pagano sussidi di disoccupazione straordinaria, e quindi ci sono dei trasferimenti alle famiglie come i crediti di imposta per i figli a carico, e altre voci, che sono una conseguenza diretta della crisi e che fungono da ammortizzatori sociali.

 

(Pietro Vernizzi)