Potremo farci curare ad Amsterdam, Parigi, Londra, o Berlino. A gratis. Dall’anno prossimo, per effetto della direttiva 24/11 dell’Ue, i cittadini europei potranno ricevere prestazioni da strutture ospedalierie o in cliniche private in uno qualsiasi degli stati membri e a carico del proprio servizio sanitario nazionale. Già adesso qualcosa del genere è previsto. Ma a patto che la Regione di appartenenza dia l’ok. E, in genere, lo dà esclusivamente nel caso in cui la prestazione non sia erogabile in una struttura del territorio nazionale. Antonello Zangrandi, professore di Economia aziendale presso l’Università di Parma, ci illustra pregi e difetti della rimozione delle barriere sanitarie.
Come valuta la disposizione europea?
Ritengo positivo il fatto che un cittadino possa decidere liberamente dove andare a farsi curare. Al di là del principio generale, concretamente si pongono una serie di problemi, a partire da quelli relativi al rischio di “turismo sanitario”.
Cosa intende?
Non in tutto il mondo le prestazioni sono erogate allo stesso livello. E, non sempre, il cittadino è informato adeguatamente rispetto alla valenza di una cura piuttosto di un’altra, o all’efficacia di un trattamento effettuato da una determinata struttura sanitaria rispetto a quello erogato da un’altra. Spesso, la conoscenza del consumatore sui processi sanitari è scarsa.
Di chi è compito informarli?
Non di certo dell’Europa, ma dei singoli Stati.
Per evitare il proliferare di imbonitori e strutture che promettono miracoli, l’Europa ha previsto un sistema ci accreditamento. Sarà sufficiente?
Tecnicamente, sistemi di accreditamento in grado di fornire valutazioni oggettive e attendibili ne esistono, eccome. Sarà compito dell’Europa dar contenuto e spessore a questo aspetto.
In ogni caso, nel 2010, a fronte di una spesa per la migrazione pari a 164 milioni di euro, l’Italia ha ricevuto 87 milioni per prestazioni erogate a stranieri. Rischiamo il collasso?
Già adesso il sistema sanitario nazionale ha, rispetto alla mobilità interregionale, enormi difficoltà. Figuriamoci cosa potrebbe comportare a livello internazionale.
Quindi?
Anzitutto, è necessario predisporre una regolamentazione volta alla sostenibilità economica. Una riorganizzazione complessiva che, ovviamente, non potrà limitarsi ai tagli lineari sin qui adottati. Una pratica vergognosa sul fronte tecnico: non si può tagliare, infatti, allo stesso modo in regioni virtuose, che hanno già operato dei tagli per conto loro, e quelle non virtuose, né a prescindere dalle capacità produttive delle singole strutture sanitarie, dal numero di prestazioni erogate, dal numero di pazienti, e dal livello qualitativo dei servizi. A tale riorganizzazione, dovrà affiancarsi il rilancio della capacità competitiva del nostro sistema sanitario
Ci spieghi.
Rispetto a certe tipologie d’intervento, anche se in misura finora estremamente limitata, può capitare che alcuni decidano di avvalersi di prestazioni presso delle strutture eccellenti di Paesi stranieri come l’India. Per farsi curare e, contestualmente, fare anche un po’ di turismo vero e proprio. Considerando l’eccellenza che vantiamo in alcune Regioni, e in certi campi della medicina, non vedo perché un francese, un tedesco, o polacco non dovrebbero decidere di venire a farsi curare da noi e, nel frattempo, godere delle bellezze del nostro Paese.
Nell’ambito della politica industriale, così come il governo promuove la nostra impresa nel mondo, dovrebbe fare lo stesso con i nostri ospedali?
Solo in parte. Lo Stato dovrebbe identificare della politiche generali, ad esempio, sull’accreditamento, sui sistemi di rimborsi o sulla sostenibilità. Altra cosa è ipotizzare interventi incisivi che vadano a ledere l’autonomia e il ruolo delle Regioni. Sarà la Regione, quindi, a dotare le strutture degli strumenti per essere più competitive.
Non c’è il rischio che, invece dell’eccellenza italiana, il mondo venga a conoscenza degli aspetti peggiori della nostra sanità?
Speriamo di no…
(Paolo Nessi)