Cesare day. Il momento è venuto, questo il grande giorno: oggi, in una sala della sede storica de Il Corriere della Sera (sì proprio quella che probabilmente verrà messa in vendita per esigenze finanziarie della casa editrice) si terrà la presentazione del libro-intervista “Confiteor”, nel quale il banchiere di sistema Cesare Geronzi racconta la sua vita, le sue opere in una cinquantina di anni trascorsi a pascolare nel mondo finanziario e politico italiano, quello che una volta passava sotto il nome di poteri forti e oggi più realisticamente è definito poteri marci. Guardato con sospetto dai suoi molti nemici come fosse una sorta di Belzebù, Geronzi si sforza per tutte le pagine di questa lunga passeggiata nella storia italiana, di dimostrare che l’averlo identificato con il male, avergli attribuito la paternità genetica di tutte le malefatte e i vizi del mediocre capitalismo italiano è stato un errore. Gli stessi atteggiamenti sbagliati che vengono attribuiti a lui, appartengono anche a tutti gli altri protagonisti del salotto buono: i potenti, quelli vecchi e gli ultimi arrivati, si assomigliano tutti. Insomma, Geronzi si dipinge come una sorta di Jessica Rabbit: “Io non sono cattiva, sono gli altri che mi disegnano così”.
Il volo di Gamberale. Vito Gamberale, numero uno di F2i, è sotto i riflettori perché ha dato un contributo al flop della quotazione in Borsa della Sea, la società aeroportuale milanese. Va detto che lo sbarco in Borsa era stato organizzato male dai due principali azionisti (Comune e Provincia di Milano), dalla società e dai suoi advisor ed era destinato comunque a naufragare su un mercato molto attento a quanto gli viene offerto. Però Gamberale, sottolineando alcune criticità dell’operazione, ha avuto un peso su quanto successo. Era suo diritto farlo, perché difendeva gli interessi suoi e dei suoi investitori, in quanto il suo fondo F2i l’anno scorso aveva comprato un pacchetto del 29% di Sea pagando le azioni 5,2 euro, mentre il prezzo dell’Ipo le avrebbe collocate in una forchetta compresa fra i 3,2 e i 4,3 euro. Il che avrebbe comportato per i sottoscrittori (pubblici e privati) di F2i una minusvalenza implicita molto pesante, alla quale Gamberale si è ribellato.
Fin qui tutto bene. Però ora circolano voci (rilanciate già dai giornali) che Gamberale adesso penserebbe di partecipare all’asta che la Provincia sta per indire per vendere comunque il suo pacchetto, avendo assoluto bisogno di far cassa per rispettare il patto di stabilità ed evitare il commissariamento. Il prezzo dell’asta sarebbe di 4,4 euro: poco più alto dell’ipotesi migliore della forchetta, ma pur sempre sotto di quasi un euro rispetto a quanto pagato nel 2011. Ora, se un signore (Gamberale appunto) contrasta un’Opa che ritiene potenzialmente dannosa, fa qualcosa di ineccepibile. Se però il secondo atto di questa resistenza si apre con una corsa ad accaparrarsi il pacchetto della Sea messo in vendita dalla Provincia in modo da diventare il secondo azionista della società alle spalle del Comune, accettando comunque un prezzo inferiore a quello del 2011, allora qualche dubbio viene. Qual era fin dall’inizio il piano di Gamberale? Evitare l’Opa, comprare dalla Provincia e assicurarsi così il 45% del capitale Sea? E aspettare che il Comune, pressato dalla esigenze finanziarie, si rassegni a cedere un altro pacchetto mettendogli nella mani il pieno controllo degli aeroporti milanesi? Se le voci (e ripetiamo: sono solo voci) dovessero essere confermate, allora tutta la vicenda Sea andrebbe rivista sotto un’altra luce.
Papandreu e Scajola. La madre dell’ex premier greco George Papandreu sarebbe comparsa sulla famosa lista Falciani, l’elenco dei 2.059 cittadini greci che hanno conti segreti presso la filiale di Ginevra della Hsbc. Sul suo sarebbero depositati circa 500 milioni di euro. Lei e il figlio hanno subito smentito la notizia, definendola frutto di una vendetta nei loro confronti da parte di nemici. In effetti, secondo voci giornalistiche, sarebbe stato un ex ministro a conoscenza di molti segreti sui politici greci, a divulgare la notizia, vera o falsa che sia. Tutto questo ha o potrà avere qualche similitudine con quanto ha dichiarato pochi giorni fa, in un incontro di partito, Claudio Scajola quando ha detto ai suoi avversari: “Ero al Viminale: so tutto di voi”?
500 euro. C’è chi ripropone con convinzione che la guerra al contante andrebbe condotta con più energia, partendo dall’abolizione della banconote da 500 euro utili soprattutto all’evasione e a oscuri traffici. Può essere giusto, ma per ridurre l’uso dei contanti bisognerebbe convincere gli esercizi commerciali ad accettare bancomat e carte di credito. Entrambi questi mezzi di pagamento sono invece spesso rifiutati, non solo per renitenza allo scontrino, ma anche per evitare le commissioni pretese dalle banche su ogni operazione. Il governo dovrebbe far procedere parallelamente la crociata contro il contante e una serie di accordi con le banche per ridurre le commissioni sulle transazioni elettroniche e togliere così ogni alibi ai commercianti.
Napoleone e Bersani. Napoleone pretendeva che i suoi generali fossero fortunati. Pierluigi Bersani lo è: ieri, dopo la trionfale domenica delle primarie, la Borsa ha chiuso in salita e lo spread è sceso sotto quota 300 (anche se poi è risalito). Bersani non ha il minimo merito in nessuno dei due casi. Però, appunto, è stato fortunato: Napoleone lo avrebbe arruolato.
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