La capacità di risparmio degli italiani era uno dei fiori all’occhiello del Paese. Un indicatore economico probabilmente più rappresentativo del Pil o del rapporto debito/Pil per indicare lo stato della nostra ricchezza e della nostra economia reale. Ma la crisi si è mangiata ben 21 miliardi di euro che le famiglie si erano messe da parte in vista dei tempi duri. D’altro canto, sono arrivati. L’erosione è stata certificata da una ricerca condotta da Swg per conto del gruppo assicurativo Genworth. Come se non bastasse, secondo la Cgia di Mestre, quest’anno l’enorme carico fiscale e il credit crunch potrebbero mettere a rischio l’erogazione delle tredicesime da parte di moltissime piccole e medie imprese. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Giancarlo Marini, direttore del Dipartimento di Economia Diritto e Istituzioni dell’Università Tor Vergata di Roma.



Era prevedibile che anche il risparmio privato venisse eroso?

Purtroppo, gli effetti sul’economia reale sono inevitabili in tempi di crisi, recessione e stagnazione. Le famiglie non hanno altro modo se non quello di de-cumulare i proprio risparmi. 21 miliardi sono una cifra enorme. Del resto, la crisi ha avuto e sta avendo una portata rilevantissima. Nel frattempo, l’incertezza perdura e si insiste con il rigore senza politiche volte all’attrazione di investimenti.



Come ne usciamo?

La soluzione è individuabile esclusivamente a livello europeo. Che i mercati siano spaventati dalla situazione italiana non corrisponde pienamente al vero. Ben presto, salvo cambiamenti a livello comunitario, si determineranno significative ripercussioni su gran parte dei paesi dell’Europa meridionale.

L’Europa ha già  prodotto il Fondo salva-Stati e dato facoltà alla Bce di acquistare bond.

Sì, ma resta il fatto che gli investimenti scarseggiano. E scarseggiano perché gli spread, checché se ne dica, continuano a restare a livelli inaccettabili.

Siamo arrivati a 300 punti base.



Appunto. E’ ancora un valore elevatissimo, che non ci possiamo permettere. E’ sorprendente come, invece, sia valsa la convinzione che i nostri problemi, con un differenziale del genere, siano finiti. Come se non bastasse, la crisi Greca non è ancora stata risolta, e i mercati sanno bene che la sua uscita è tutt’altro che scongiurata. L’operazione di buyback, oltretutto, potrebbe mettere a repentaglio la stabilità delle banche del Paese. Servirebbe proteggerle con una rete quale l’Unione bancaria europea sulla quale, nonostante la convinzione di essere a un passo dalla sua realizzazione, la Germania sembra intenzionata a porre il proprio veto.

Quindi?

Il rilancio degli investimenti è legato alla fiducia nelle prospettive di stabilità, crescita e tenuta politica. Finora, invece, tutti i segnali indicano il contrario. L’Europa sembra composta da 27 soggetti che perseguono ciascuno i propri interessi, incapaci di mettersi d’accordo. Basti pensare all’incapacità di accordarsi sul bilancio. Finché i mercati finanziari assistono a una situazione del genere, tenderanno a immaginare che ci siano aspettative di svalutazione e continueranno a speculare.

Una volta passata la crisi, quei 21 miliardi saranno riassorbiti?

Posto che ci sia un’accelerazione politica in grado di ripristinare la fiducia, e che l’Europa avvii un massiccio programma di spesa pubblica volto a interventi infrastrutturali, ci vorrà molto tempo.

Intanto, pare che le tredicesime siano rischio

Ogni piccolo segnale rischia di avere effetti a catena. E’ auspicabile, da questo punto di vista che, avvicinandosi le elezioni, in campagna elettorale si metta a tema l’Ue; e il fatto che i meccanismi di governance rendono le decisioni prese in Italia sempre meno incisive. Il programma dei partiti, di conseguenza, dovrebbe contenere la tensione a contare di più in Europa. 

 

(Paolo Nessi)