Risparmio, rinuncio e rinvio. Il rapporto annuale del Censis, indicando in questo modo le tre “r” dei consumi familiari, alla base del crollo delle spese, evidenzia che nel primo trimestre 2012 la flessione delle spese delle famiglie è stata del 2,8% e nel secondo trimestre vicina al 4% in termini tendenziali. Nel corso di quest’anno, i consumi reali pro-capite, pari a circa 15.700 euro, “sono tornati ai livelli del 1997”, mentre è in “drastica riduzione” anche la propensione al risparmio che passa dal 12% del 2008 all’attuale 8%. Di conseguenza, le famiglie italiane cercano di adattarsi alla sempre più pressante crisi. “La paura c’è”, evidenzia il rapporto, ma gli italiani reagiscono anche con “difese strenue”: in due anni 2,5 milioni di famiglie hanno venduto oro o preziosi, l’85% ha eliminato sprechi ed eccessi, il 73% va a caccia di offerte, il 62,8% ha ridotto gli spostamenti per risparmiare benzina e, a fronte di un crollo della vendita di automobili, sono state acquistate ben 3,5 milioni di biciclette. Inoltre, sono 2,7 milioni gli italiani che coltivano ortaggi da consumare ogni giorno, mentre sono circa 300mila le famiglie che negli ultimi due anni hanno venduto mobili e opere d’arte.
Quella che il Censis fotografa è un’Italia “separata in casa” per sopravvivere alla crisi: da una parte ci sono le istituzioni politiche, dall’altra i soggetti economici e sociali che attuano “affannose strategie di sopravvivenza”. I soggetti sociali, rileva il Censis, “non si sono sentiti coinvolti dall’azione di governo perché sospettosi che alle strategie tecnico-politiche non seguisse un’adeguata implementazione amministrativa e organizzative e perché restavano in attesa di una proposta di percorso comune”. Non è scattata “la magia dello sviluppo fatto da governo e popolo e il rigore del governo non ha avuto lo spessore per generare forza psichica collettiva”.
Secondo Ugo Arrigo, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bicocca di Milano, contattato da ilsussidiario.net, «tutto il pessimismo che si è diffuso è in gran parte conseguenza delle manovre a cui abbiamo assistito l’anno scorso. Credo che l’Italia non avesse mai sperimentato manovre di aumento della fiscalità in recessione economica, e lo ha fatto in maniera così dura che le aspettative degli italiani sono drasticamente cambiate».
Con l’espansione economica il ceto medio si allarga, spiega Arrigo, «andando quindi a includere persone che prima non ne facevano parte: di fatto l’impoverimento di una nazione si vede dall’impoverimento del ceto medio, quello più colpito dalla fiscalità, mentre coloro che già prima non pagavano continuano ovviamente a non pagare anche se alziamo le aliquote». Per questo, commenta, «tutta la lotta all’evasione sembra essere stata solamente una farsa, visto che i risultati ottenuti sono assolutamente trascurabili: anzi, costano di più gli apparati che dovrebbero inseguire gli evasori di quanto non sia il ricavo dei controlli fiscali».
La vera spending review, aggiunge quindi Arrigo, «è quella che hanno fatto gli italiani, non quella dello Stato. I privati cittadini hanno effettuato una drastica riduzione delle spese, tagliando spesso beni essenziali e cambiando le proprie abitudini di vita, mentre una cosa analoga non è assolutamente stata fatta dal settore pubblico». Tutto questo ha dunque portato gli italiani a essere «sempre più scettici riguardo i provvedimenti di politica economica e ad avere sempre meno fiducia sul fatto che questi possano realmente migliorare il benessere collettivo. Gli italiani si sentono presi in giro, soprattutto quando vedono che, mentre tirano sempre di più la cinghia, molte delle cose che davvero andrebbero tagliate ancora sono al loro posto».
(Claudio Perlini)