La prima telefonata di Lucas Papademos, Premier della tribolata Grecia, è stata per lui, super Mario Draghi che ha appena festeggiato i primi cento giorni alla guida della Banca centrale europea. Non a caso. Il primo ministro greco, ex Goldman Sachs alla pari di Draghi, sa benissimo che il destino del suo Paese si gioca più a Francoforte, dove si sta escogitando un sistema per far affluire liquidità ad Atene senza violare i trattati, piuttosto che a Bruxelles, dove è ben difficile che qualche governante si assuma la responsabilità di far saltare la costruzione europea una volta che la Grecia mostra di accettare i sacrifici più gravi.
I cento giorni di Draghi, del resto, hanno spostato il baricentro dell’Europa da Bruxelles, paralizzata dal gioco di troppi attori, a Francoforte, dove l’“italian job” di Draghi si è amalgamato alla perfezione con lo strapotere tedesco sulla banca centrale che sorge a un isolato dalla Bundesbank. A novembre, quando Draghi si è insediato, la banca era dilaniata dal conflitto tra falchi e colombe. Un’irriducibile ridotta di rigoristi d’oltre Reno guardava con grande sospetto alla decisione di Jean-Claude Trichet di sostenere Italia e Spagna con acquisti di Btp e Bonos sul mercato secondario: una mossa troppo politica, era l’accusa, che nei fatti ritardava il risanamento dei conti italiani oltre a spingere l’Ue su una china pericolosa che la Germania non avrebbe potuto accettare.
Draghi, che secondo il Financial Times, era scettico fin dall’estate scorsa sulla terapia, fu costretto a non sconfessare il collega. Ma, consapevole che a Roma stava maturando un cambio della guardia “storico”, si mise fin da subito all’opera per individuare una soluzione diversa. Contando su un grande alleato: l’emergenza. Per paradosso la terapia di Draghi ha funzionato perché le banche europee, in Italia come in Germania, a inizio novembre erano sull’orlo del burrone. La crisi di liquidità che aveva investito il sistema minacciava di far saltare dalle fondamenta l’intera eurozona. Perciò qualcosa andava fatto. E in fretta. Come aveva ben compreso sia la Bundesbank che la cancelliera Angela Merkel che hanno fatto piazza pulita dell’opposizione più rigida nei confronti di Draghi.
È in questa cornice che ha preso il via Ltro, cioè l’iniezione di liquidità nelle banche europee che è all’origine del rimbalzo vigoroso dei titoli bancari nelle Borse e, più ancora, del prezzo dei titoli di Stato dell’eurozona, mentre si allenta la paranoia finanziaria che ha spinto sotto zero i rendimenti dei Bund tedeschi. Un intervento degno di Machiavelli, che ha permesso alla Germania di non deflettere dal rigore politico a 360 gradi, culminato nel Fiscal Compact, ma, in cambio, ha consentito alla Bce di rimettere in moto gli ingranaggi più delicati, quelli della finanza e del credito che richiedono ancora interventi mirati e continui, come ha sottolineato al termine del vertice della Bce lo stesso Draghi.
Già, l’italian job è appena cominciato. La Grecia si è piegata a una terapia del dolore che, se corettamente applicata, rischia di portare il Paese al collasso. Non basta stringere i cordoni della borsa. Occorre che le banche greche, dopo il taglio “volontario” al debito pubblico, possano disporre dei quattrini necessari per avviare gli investimenti da attivare, beninteso, solo dopo che i politici greci avranno dimostrato di aver capito la lezione. Magari confermando la fiducia al Monti locale, cioè Papademos.
Occorre che, pur con colpevole ritardo, l’Europa del nord prenda atto che il costo del default sarebbe comunque assai superiore al vantaggio ideologico di aver preservato il rigore: 100 miliardi di euro sarebbero stati sufficienti, nel 2009, a spegnere l’incendio di Atene. Oggi, senza aver ancora vinto la battaglia, la Ue dovrà mettere in campo 130 miliardi che andranno ad aggiungersi ai 110 già investiti. Inutile recriminare, però. L’importante è che le banche europee, con l’avallo implicito dei governi, possano rimettere in moto un circolo virtuoso grazie ai quattrini prestati dalla Bce: ai 489 già elargiti a dicembre, se ne aggiungeranno il 20 febbraio molti altri. Fose addirittura mille miliardi, come sostiene il Financial Times. Saranno queste le armi che consentiranno di avviare, quasi in silenzio, la ripresa europea.
Certo, è assai più agevole e facile il compito di Mervyn King, numero uno della Bank of England: l’istituto centrale può emettere 50 miliardi di sterline di stimoli (notizia di ieri) che vanno ad aggiungersi alle centinaia di miliardi spesi per sostenere banche, servizi e quel che resta dell’industria british. O quello di Ben Bernanke, che non esiterà a pigiare l’acceleratore del quantitative easing quando la mini-ripresa Usa perderà colpi. Draghi ha ben altri vincoli statutari (la Bce ha come compito la vigilanza sull’inflazione, non la tutela dell’occupazione come la Fed).
Non solo. Alle spalle non agisce un governo solo che opera nel nome di Stati federati, come nel caso degli Usa (cosa che rende impossibile il default di California o Wyoming) o di una sola nazione, bensì 27 situazioni politiche dissimili, foriere di non pochi probleimi. Basti dire che l’Ue, dopo aver imposto la ratifica dell’accordo a tutti i partiti di Atene per evitare sorprese dopo le elezioni di aprile, potrebbe esser sconvolta da un radicale cambio di rotta in Francia, nel caso di affermazione del socialista François Hollande.
Per questo l’unica cosa da fare è vigilare sulla solidità delle banche, sperando che la ripresa americana e la congiuntura delle locomotive emergenti consentano all’Europa tutta di superare una crisi che richiede tempo e pazienza. Senza sperare nell’arma taumaturgica dei tassi bassi (perfettamente inutili se il cavallo dell’economia non beve) o confidare troppo in un rimbalzo delle Borse che, in assenza di un miglioramento dell’economia reale, ha comunque il fiato corto: per quanto bravo sia Mario Monti, commenta Nico Spriros, acclamato guru della City dei titoli di Stato, non è possibile che l’Italia si risollevi se il suo Pil continuerà a calare del 2,5% l’anno.
Ci vuole pazienza, insomma. Assieme a tanto coraggio, fantasia italiana e la saggezza di non urtare i farisei dell’Eurotower (subito insorti di fronte alla prospettiva di uno sconto sui titoli greci in mano alla Bce, nonostante l’operazione sia in pratica a costo zero). Per fortuna, pare che Draghi abbia queste doti. Ma non illudiamoci: i miracoli non li sa fare. In caso di stop alla congiuntura americana e di battute d’arresto in Oriente, a danno delle imprese che esportano, la tragedia greca potrebbe concedere il bis: non solo ad Atene, ma anche a Parigi, Roma e Madrid.