Sta assumendo toni quasi spettacolari la visita del nostro Premier, Mario Monti, negli Stati Uniti, coronata dall’incontro con il Presidente Barack Obama. Nell’ordine si possono mettere: l’intervista al Wall Stret Journal, il “pezzo” di appoggio sullo stesso giornale contro l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, definito una sorta di “reliquia”, e infine la copertina del Time, dove il titolo sembra un epinicio in chiave di domanda retorica: “Può questo uomo salvare l’Europa?” L’eco dei giornali italiani, che spalleggiano apertamente il Governo, sta assumendo toni lirici. Ma probabilmente non si vedono i paradossi di tutta questa vicenda e non si spiegano con un minimo di cognizione di causa i problemi che sono veramente in gioco. Lo fa comprendere con grande chiarezza il professor Francesco Forte, grande economista, ex ministro delle Finanze, attento alle questioni di natura finanziaria ed economica, ma anche grande “masticatore” di politica.



Che ne pensa di questo viaggio e di questa accoglienza?

Ritengo che ci sia una vera organizzazione del consenso nei confronti di Monti che ha diverse ragioni e spiegazioni. Se pensiamo al Wall Street Journal è impossibile non vedere in controluce le relazioni e le introduzioni che Monti ha nel mondo della finanza internazionale. È stato un consulente di Goldman Sachs, non dimentichiamocelo. I contatti internazionali in questo caso contano molto. Ma poi ci sono indubbiamente altre ragioni di natura politica ed economica.



Quali sono queste ragioni?

Guardiamo un attimo alla situazione politica internazionale. Gli Stati Uniti stanno guardando con una certa apprensione a quello che sta accadendo in Siria e in Iran. E si rendono anche conto che l’interventismo francese in Libia era meglio che non avvenisse in quel modo. Tutto sommato credo che rimpiangano in questo momento la linea italiana. Perché l’alleanza con i francesi non ha fruttato molto. Rispetto allo scacchiere del Medio Oriente, l’Italia è la spalla ideale degli stati Uniti, come lo è sempre stata. La Germania è neutralista, i francesi sono interventisti ma competitivi, se non diffidenti verso gli americani. Quale altro Paese, se non l’Italia, è il miglior alleato degli Stati Uniti? Questo riguarda Israele e tutto il Medio Oriente.



Che altro?

C’è un fatto che i nostri giornali non hanno ben chiarito, anzi non lo hanno neppure accennato. L’italiano Monti viene ben accolto alla casa Bianca da un Presidente che sta andando alle elezioni e ha un avversario emergente, in campo repubblicano, di chiare origini italiane. Non è mai uno scherzo per i Presidenti degli Stati Uniti aggiudicarsi i voti degli italo-americani. È una priorità. Quindi tra le altre cose, l’incontro con Mario Monti fa parte di uno show politico ben programmato. Aggiungiamo pure un’ultima considerazione: Berlusconi era un uomo di destra, Monti non è un magnate e in questo momento, pur non essendo di sinistra, è appoggiato dalla sinistra italiana, quindi più congeniale a Obama.

 

Al centro comunque ci sono le questioni di natura finanziaria ed economica, con la crisi dei debiti sovrani, l’incerta politica europea, la mancanza di crescita.

 

Certamente. Ricordiamoci per un momento da dove nasce la crisi dei debiti sovrani. Le banche americane che hanno comprato titoli europei non possono avere l’aiuto del Governo federale. Gli Stati Uniti hanno dato uno scossone all’eurozona, ora stanno cambiando linea. Si rendono conto che se salta l’euro questo gli si ritorce contro. Finché il fuoco è circoscritto alla Grecia si può rimediare, se il fuoco si estendesse all’Italia l’euro crollerebbe. Senza l’Italia, l’euro non esisterebbe. Che linea si è cambiata? Prevale oggi negli Usa una spinta verso l’economia reale rispetto alle ragioni finanziare del dollaro. In sostanza, gli Stati Uniti vogliono che il dollaro sia sempre la moneta di riferimento, il “rappresentante” di una potenza egemone, ma vogliono che l’eurozona sia un buon mercato.

 

È per questa ragione che arrivano lodi di ogni tipo a Monti e al suo governo? È per questo motivo che si sottolineano i passi da gigante che avrebbe fatto l’Italia?

 

Devo dire che Monti è un uomo fortunato. È da molti mesi che l’Italia sta facendo passi decisivi. Monti ha fatto la riforma delle pensioni, ma la crescita del debito italiano negli ultimi trimestri è inferiore a quella di tutti gli altri Paesi. E questo è dovuto alla politica di Berlusconi e del ministro Giulio Tremonti. Devo dire che Mario Monti lo riconosce tutto questo. Il nostro primo ministro continua a seguire la linea del governo precedente. Qui nasce un paradosso. Questo governo, voluto principalmente dalla sinistra, dalla grande stampa e dalla Confindustria, concepito nel famoso “incontro di Todi”, alla fine si rivela, per linea politica, un grande scorno per la stessa sinistra. Diciamo che si è verificato quello che si diceva in antichità dai romani: il vincitore è stato conquistato dai vinti.

 

Scusi professor Forte, ma si può attribuire a Monti anche la possibilità di salvare l’Europa, di fatto correggendo la linea di Angela Merkel e di Nicolas Sarkozy?

L’Italia, sia per il governo Berlusconi sia per il Governo Monti, ha messo i conti in sicurezza, quindi l’euro è al sicuro. Ma pensare che Monti possa modificare la linea dei tedeschi è impossibile. Monti ha studiato a Yale, con Tobin, un moderato neokeynesiano. E penso che anche Monti sia un neokeynesiano. Ipotizzare che modifichi la linea della Merkel mi sembra impossibile. Qui entreranno in gioco altri problemi.

 

Che problemi si dovrebbero affrontare?

 

In un momento come questo bisognerebbe ampliare l’offerta monetaria. Mario Draghi, nei limiti dello statuto della Bce, lo sta facendo. Ma questo i tedeschi non lo approveranno mai oltre un certo limite. I tedeschi hanno una paura atavica per l’espansione monetaria, gli ricorda gli anni Venti fino all’arrivo del nazismo.

 

Questo stabilisce un rapporto più solido tra Italia e Stati Uniti, piuttosto che tra Stati Uniti e Germania?

 

Senza dubbio, ma non solo questo. L’Italia è un punto di riferimento culturale negli Stati Uniti e la sua produzione industriale è complementare a quella americana. È diverso invece il rapporto tra Usa e Germania, che hanno due sistemi in competizione tra loro.

 

In Italia c’è ancora sul tappeto la questione dell’articolo 18.

 

Credo che Monti la stia affrontando bene, meglio di Elsa Fornero. Quell’articolo è un’anomalia per quanto riguarda il reintegro per legge e non è compreso all’estero. Bisognerà limarlo, come del resto ci chiedeva la lettera della Bce fin dal mese di agosto. Credo che alla fine ce la si farà. E poi c’è sempre l’articolo 8 dell’accordo di giugno e settembre, i contratti aziendali, quelli per cui i sindacati ritornerebbero a fare i sindacalisti nelle aziende. Quella del lavoro è l’unica liberalizzazione che forse si realizza. Il resto è piuttosto marginale.

 

(Gianluigi Da Rold)