Al termine di un lungo weekend di paura, e all’inizio di una ancora più lunga settimana di passione, il Parlamento greco ha approvato le misure richieste dall’Institute for international finance, Iif (con la benedizione del Fondo monetario internazionale e delle istituzioni europei), per la concessione di aiuti d’emergenza al fine di evitare l’insolvenza quando il 20 marzo scadono titoli per circa 15 miliardi di euro e devono essere rifinanziati.



Essenziale ricordare i termini dell’accordo, uno “swap” formalmente volontario tra obbligazioni garantite unicamente dal Governo greco e titoli con un supporto multilaterale: i soci dell’Iif (in pratica grandi banche che detengono la metà circa del debito greco, stimato in circa 350 miliardi di euro) perderebbero il 70% del valore nominale, ma ne recupererebbero il 20%, se e quando l’economia ellenica andrà meglio. C’è chi non sottoscrive l’accordo, ma ne trarrà vantaggio: i piccoli creditori e gli hedge funds. Specialmente quest’ultimi hanno comprato titoli greci a prezzi stracciati (mediamente il 30% del valore facciale, ma in certi casi pure il 15%) con la prospettiva di guadagni speculativi considerevoli in caso di accordo con le grandi banche – quando, si stima, il valore di mercato delle obbligazioni greche si situerebbe sul 50-60% di quello nominale.



In questo quadro, appare buona la proposta formulata il 12 febbraio dal ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos, al Parlamento di lanciare, entro la fine di questa settimana, un’offerta pubblica “a tutti i creditori privati” per la ristrutturazione del debito. In tal modo, si uscirebbe dall’impiccio di concludere un accordo di ristrutturazione unicamente con le grandi banche dell’Iif, ma tale da favorire soprattutto terzi (specialmente quelli che hanno operato con un intento puramente speculativo). È possibile che l’idea venga da uno dei due miei vecchi amici, George Pscharopoulos o Dimitri Koulourianos. Hanno ambedue lasciato incarichi pubblici e sono politicamente agli antipodi: iper liberista Pscharopoulos e socialista quasi marxista Koulourianos. Ma sanno il fatto loro in materia di economia e finanza.



È una proposta, però, che accanto a opportunità presenta trabocchetti. Non è una mera e semplice asta di titoli come quelle fatte normalmente da tutti i Tesori del mondo, raggruppandoli per tipologia (ad esempio, con cedole o senza cedole) e per durata (semestrali, annuali, decennali anche trentennali). Si tratta di decidere quale proporzione del debito in essere mettere all’asta, su che arco di tempo e, soprattutto, come “impacchettare” i vari lotti. A riguardo è necessario che le istituzioni europee e il Fmi, dopo avere fatto da levatrici all’accordo Grecia-Iif, diano tutto il supporto tecnico necessario.

Altro aspetto delicato e la valutazione delle offerte. Suggerirei un’asta “alla Vickrey”, dal nome di un economista nato in Canada (per l’esattezza in British Columbia) nel 1914 e morto nell’ottobre 1996 poco dopo avere ricevuto il Nobel per l’Economia, sia per i suoi contributi alla teoria pura della tassazione, sia per il suo apporto alla metodica delle aste. In breve, se chi bandisce la gara ha come obiettivo principale l’efficienza, il teorema analitico e le dimostrazioni empiriche di Vickrey dimostrano che il meccanismo per garantirne il raggiungimento e ottenere, al tempo stesso, la massima trasparenza è quello della second-price sealed auction, in cui tutti le offerte vengono comunicate contemporaneamente in busta sigillata. Vince l’offerente con la massima offerta, in cambio, però, del pagamento del secondo prezzo più alto.

L’efficienza viene garantita, in quanto il bene viene allocato al compratore che ne dà la massima valutazione e, per giunta, i bidders non hanno incentivo a fare i bracconieri dichiarando il falso. Si evitano bracconieri e corsari, in cerca di prede da acquistare (possibilmente a basso costo), spezzettare e rivendere a pezzi e bocconi. I dettagli vengono illustrati tra l’altro nel volume curato da Nicola Dimitri, Gustavo Piga Giancarlo Spagnolo Handbook of Procurement Fostering Participation in Competitive Procurement pubblicato un paio di anni fa dalla Cambridge University Press.

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