La Grecia è come il gatto di Schrodinger, morta e viva allo stesso tempo. In effetti, non serve scomodare il fisico austriaco che ha messo in discussione l’interpretazione classica della meccanica quantistica per rendersene conto: esattamente come il gatto nella scatola, che attende ignaro la disintegrazione dell’atomo che gli salverà la vita o l’azionamento del relais che spaccherà la fiala di cianuro e lo ucciderà, Atene sa che il pacchetto di austerity votato ieri dal Parlamento potrà salvarla, garantendole i nuovi aiuti della troika e contemporaneamente ucciderla, visto che un Paese non solo fermo ma ormai alle soglie della disperazione sociale, non può applicare altro rigore. E se la Grecia, al di là dei voti farsa e della guerriglia urbana, stesse già lavorando, sottobanco, a un futuro lontano dall’euro e dall’eurozona? E non da ieri?



Lo sottolineava nel suo ultimo report, l’economista di Ubs, Stephen Deo, quando si chiedeva: «La Grecia sta già stampando la sua propria valuta?». Due i punti focali del ragionamento. Primo, l’espansione dello stato patrimoniale della Banca centrale greca attraverso l’Ela (Emergency liquidity assistance) dell’Ue, uno schema attraverso il quale le banche centrali nazionali danno un aiuto per mantenere solvente il settore bancario interno. Secondo, delle “quasi-dracme” sarebbero state già emesse. Non si tratta di nuove banconote sovrane, ma del fatto che lo Stato ha pagato fornitori degli ospedali con bond emessi a livello interno. Già, gli ospedali pubblici greci hanno accumulato debiti con i fornitori nel periodo tra il 2005 e il 2010: nel maggio 2010, il governo ha deciso di chiudere questa pratica e ha deciso di intervenire su questo debito in base alla legge 3867 del 2010. Nei mesi a seguire, tutto il debito accumulato dagli ospedali pubblici e del sistema sanitario, dal 2005 a metà 2007, fu fissato su basi cash.



Il totale fu di 1,5 miliardi di euro per gli anni 2005 e 2006, con ulteriori 240 milioni per la prima metà del 2007: un totale di 5,6 miliardi accumulati tra il 2007 e il 2010 furono fissati con bonds zero coupon (ovvero che non pagano cedole fino a scadenza dell’emissione). Nacquero così, i cosiddetti “pharma-bonds”. Questi strumenti finanziari sono bonds a tutti gli effetti e hanno tutte le caratteristiche dei bonds della Repubblica ellenica: recano numeri di identificazione internazionali per securities (Isin), sono negoziabili alla Borsa di Atene e trattano pari passu con altro debito greco. Il governo, in una nota per la stampa, fece notare che «i detentori di bonds che scelgono di scontare queste obbligazioni presso le banche, cristallizzeranno uno sconto del 19% rispetto al diritto originario».



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Detto questo, possiamo dire che questi strumenti sono più che bonds emessi dal governo greco. Più specificatamente, sono molto simili a quella che gli economisti chiamano “quasi-money”, una fattispecie non nuova e anzi utilizzata ogni qualvolta un governo ha dovuto cercare un valvola di sfogo dalle rigidità fiscali nominali nel corso di una disputa finanziaria. Nella maggior parte dei casi, questo avviene per governi appartenenti a un’unione monetaria che non posso stampare moneta per finanziare il deficit. Insomma, i “pharma-bonds” somigliano molto agli Iou emessi dalla California di Schwarzeneger nel 2009, quando lo Stato non aveva più liquidità per pagare venditori e dipendenti. Lo stesso, più o meno, lo fece però anche l’Argentina, la quale durante la crisi del debito creò veicoli “quasi-money”, quando dovette letteralmente smettere di creare moneta. Nel caso attuale greco, poi, i “pharma-bonds” sembrano non usualmente “money-like”, visto che possono essere depositati presso una banca, la quale può porli a garanzia come collaterale per ottenere denaro contante.

Insomma, teoricamente se una nazione emette un bond come rimborso, anche temporaneo, per un fornitore, in quel caso non c’è prelievo di denaro dal settore privato, visto che nessuno compra quell’obbligazione attraverso contante. È una forma di scambio, di baratto nella quale un venditore fornisce un bene a un’amministrazione governativa e riceve in cambio uno strumento finanziario creato dal nulla dallo stesso governo. Insomma, per quanto tortuoso, non c’è molta differenza dallo stampare nuova moneta in Grecia. Ma che esista un piano alternativo a quello ufficiale del governo Papademos, ovvero onorare le richieste della troika per ottenere i 130 (anzi, 145) miliardi di nuovo piano di salvataggio, lo si vocifera da giorni, visto che fonti a conoscenza dell’argomento confermano come al ministero delle Finanze ellenico si stia valutando l’opportunità del default, seguito da quello che nel mondo delle aziende viene definito finanziamento Dip o Debtor in possession, ovvero ottenere un finanziamento post-bancarotta che appare molto complicato nel caso di un default sovrano, visto che presupporrebbe un investitore ad hoc, ovvero volenteroso di finanziare un Paese che ha appena smesso di ripagare il debito esistente.

Chi potrebbe essere? Non certo il Fmi o la Bce, che anzi potrebbero incorrere in serie perdite dirette in caso di default, ma magari qualche ricco Paese arabo o la Cina, già da tempo attivissima in Grecia nello shopping di infrastrutture (aeroporti e porti) e utilities a prezzo di saldo, visto che Atene deve vendere a qualsiasi costo per far cassa come chiesto dalla troika e Pechino è piena di riserve e volonterosa di assets dequalificati, ma con alto potenziale, e soprattutto di partner sempre più intimamente legati a lei (l’eurozona è già il primo mercato per l’export cinese). Insomma, per Atene una partnership diretta con Pechino significherebbe finanziamenti post-default e una politica di vendita di assets strategici a prezzi certo bassi, ma comunque migliori di quelli che potrebbero offrire e pagare i partner europei. Inoltre, la Cina ha soldi sufficienti non solo per ammodernare e migliorare le strutture che acquista, ma anche per investimenti che significheranno posti di lavoro e crescita per la Grecia.

Non appare un caso, quindi, che se questa è l’agenda nascosta cui si starebbe lavorando, il governo ellenico, per far accettare rendimenti più bassi ai creditori privati (nei piani non ufficiali greci per ogni 100 euro di debito esistente, l’investitore dovrà accettare 10 euro di un nuovo bond decennale al 2,5%, 10 euro di un nuovo bond ventennale al 3% e 10 euro di un trentennale al 3,5%), abbia accettato di unire degli warrants legati al Pil ai nuovi bonds ristrutturati, in modo che se per caso l’economia greca dovesse riprendersi, i detentori di quelle obbligazioni avranno una payout molto più grande che garantirebbe anche dai costi di riconversione della valuta in caso di ritorno alla dracma, con o senza peg fisso con l’euro. Insomma, siamo di fronte al primo bond sovrano convertibile della storia.

C’è poi la Bce, la quale sarebbe la grande sconfitta di un default greco, ma, allo stesso tempo, avrebbe mille motivi solo emozionali e non logici per non intervenire nella fase di post-bancarotta. Anche perché, senza un piano chiaro da parte di Bce, banche centrali e partner strategici, a finire sottoterra saranno le banche europee, visto che un default imporrà il fatto che le garanzie finora offerte dagli istituti greci come collaterale per ottenere soldi dalla Banca centrale greca o dalla Bce non verranno onorate.

Qualcuno, quindi, dovrà accettare perdite da quei prestiti ormai andati, ma se questo qualcuno dovesse essere la Banca centrale greca, cosa farà? Stamperà moneta? Che farà quindi la Bce? Il suo lavoro, ovvero garantire che i detentori di equity siano estinti, i depositari protetti, il debito subordinato cancellato mentre il debito senior non assicurato dovrà fare default e, basandosi sullo status di ogni banca detentrice, essere prezzato a un livello accettabile. A quel punto le banche dovranno racimolare nuova equity e nuovo debito: e se otterranno la prima, il secondo seguirà. Alla fine, lo Stato greco dovrà nazionalizzare una banca o due, cosa che spiegherebbe la decisione dello scorso 30 gennaio dell’istituto ellenico Alpha Bank di sospendere le negoziazioni per la fusione con la sua partner Eurobank, ufficialmente in attesa della conclusione di un accordo fra il governo greco e i creditori privati sull’annullamento di una parte del debito del paese. Alpha Bank, inoltre, sottolineava che l’operazione di scambio di obbligazioni che deve ridurre il debito greco di circa 100 miliardi di euro dovrebbe influenzare, così come il partner Eurobank, in modo “sproporzionato” l’operazione.

Giunte a questo livello, le autorità greche potranno dare il via alle nuove emissioni di debito a basso rendimento: le obbligazioni avranno coupon annuale, ma il coupon successivo sarà, rispettivamente alle tre scadenze di emissione, a 12, 15 e 18 mesi, questo per minimizzare i pagamenti futuri e assicurare che questi siano scaglionati, in modo da mettere la mordacchia a potenziali speculatori intenzionati ad agitare i mercati in vista di un singolo, grosso pagamento di coupon. Per gli investitori individuali che detengono meno di 250mila euro di obbligazioni greche comprate prima del maggio 2010, l’ammontare di nuovi bonds sarà triplicato, in modo che per questa categoria le perdite sul principale saranno pari solo al 10%. E questo varrà per tutti i creditori unsecured, Bce inclusa. Ottenuto questo risultato, il 10 marzo prossimo la Grecia potrà fermare tutti i pagamenti di interessi e principali su qualsiasi veicolo di debito che non abbia subito lo swap concordato. E con il rischio concreto di perdere davvero soldi e veder andare in frantumi il castello di derivati che sorregge le scommesse di mezzo mondo sulla morte altrui, quasi certamente le manfrine europee e quelle tra governo e creditori privati (Iif) magicamente finiranno e si troverà un accordo nell’arco di tre giorni.

Tanto più che ieri il portavoce del governo greco, Pantelis Kapsis, ha confermato che le elezioni anticipate si terranno in Grecia ad aprile: «Questo governo ha ancora un mese, un mese e mezzo di lavoro davanti a sé. Completeremo il lavoro a marzo e le elezioni si faranno in aprile». E a vostro giudizio, un vecchia volpe come Papandreou lascerà la carta del malcontento e delle rivolta contro la troika in mano all’estrema destra del Laos, andando incontro a una sconfitta che sarebbe una pietra tombale politica?

 

P.S. Ho letto con un brivido il commento del lettore Martin Moeller alle toccanti parole di Dimitri Deliolanes, riguardo la situazione greca e le responsabilità europee. Non entro di nuovo nella questione, ma al netto del proverbiale rigore tedesco (molto affievolito, in verità, quando si tratta di ricattare Atene, vincolando gli aiuti alle commesse di armi per l’esercito), ricordo a Moeller che nel 1953 l’Accordo sul debito di Londra vide Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Francia e Grecia garantire a Konrad Adenauer un bell’haircut del 50% su tutto il debito tedesco, pari al 70% di sollievo sulle scadenze più a breve. Inoltre, ci fu una moratoria di 5 anni sul pagamento degli interessi. Questo garantì alla Germania di ricostruire la sua economia dopo la guerra (da essa stessa scatenata) ed evitare di finire del tutto sotto il giogo sovietico: non fu indolore la scelta, visto che la Gran Bretagna dovette presentarsi a Washington con il capello in mano per ottenere prestiti e la stessa Grecia, oggi tanto vituperata, rinunciò alle compensazioni di guerra che le spettavano.

Tutto questo avvenne nei confronti di una nazione che non aveva truccato i conti, fatto uno swap un po’ birichino e permesso ai suoi cittadini di vivere al di sopra di standard sostenibili dal welfare, ma che aveva portato morte e distruzione in Europa, con il corollario di 6 milioni di ebrei sterminati in nome dell’ideologia di uno psicopatico austriaco che i tedeschi avevano scelto come loro leader. Caro Moeller, va bene la legge della responsabilità e del “chi rompe paga”, ma se nel 1953 fossero stati duri verso il suo Paese un decimo di come lei lo è oggi con la Grecia, probabilmente parlerebbe russo.

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